Quando sono andato a prenderlo era buio. Un buio pomeriggio tardo autunnale nel 1998, lungo la stradina poco illuminata che fa da controviale nascosto alla Padana Superiore. Eravamo in tre, in bicicletta se non ricordo male: io, l’inesperto e l’allora interessante Valentina. Niente Mariposa o centro Milano, quella volta, ma solo Città Mercato, la prima d’Italia (quella di Vimodrone), quindi roba che contava. Anche al ritorno era buio. Ed è rimasto buio, tutto il tempo, a ogni ascolto di “Up” negli undici anni che sono seguiti. Dal primo vero disco del gruppo di Athens post-Berry non sapevo cosa aspettarmi, né immaginavo che sarebbe finita così, ma ai tempi ero decisamente meno intossicato di musica, quindi si comprava e si ascoltava senza farci sopra chissà quali voli pindarici (o seghe bimani, se la poesia non è nelle vostre corde).
Dopo l’esplosione amarognola di “Automatic for the People” e la voglia di rock ruvido di “Monster” era stato il momento dello strepitoso “New Adventures in Hi-Fi”, un disco suonato e registrato per la stragrande maggioranza del tempo “dal vivo”. Con l’intero gruppo abile nel ritagliarsi spazi durante il tour del disco del 1994. All’uscita delle avventure in lo-fi, Berry se ne era già andato, tutto preso dalla sua voglia di mantenersi vivo, ma comunque presente nel disco. Per “Up” i R.E.M. dovevano reinventarsi da zero, o qualcosa di molto simile. E lo fecero con un album che era l’esatta negazione del suo predecente: tutta potenza “da gruppo” quello (come molte delle prime pubblicazioni), tutto studio questo. Nuovi pedali per Buck, che si inventa un suono caratteristico per quei nuovi anni della band e soprattutto attenzione certosina in fase di produzione, con sovra incisioni, riff e accenni spediti in loop e pezzi costruiti come il significativo puzzle di una pozzanghera. In cui tutto è uguale, ma ogni minuscolo elemento in realtà ha una potenza innegabile. “Up” continua a vivere senza mai accelerare troppo forte, senza mai fermarsi davvero, continuando a riprendersi e a citarsi addosso. Una lunga cavalcata di disillusione notturna, lontana dalle sfuriate post-grunge di “Monster” e dai palchi ridenti di “New Adventures in Hi-Fi”. “Up” è un disco strepitoso, capace di cambiare più volte anima ma mantenendo inalterato l’umore. Un disco soprattutto eccezionale sul lungo periodo, come quella sera in cui le inutili sessioni di gioco al cialtronissimo Darius-G per PlayStation (dono di Ualone, conosciuto da poco all’epoca) mi accompagnarono alla scoperta di “Diminshed”. Poi di “Parakeet”, poi di “Falls to Climb”, fino a cogliere in tutta la sua magnificenza la seconda, splendida, metà del cielo crepuscolare del disco. Una seconda metà avvolgente come solo le serate autunnali riescono a essere, con suoni elettrici che riescono anche a farsi allucinati e la suddetta produzione che non diventa mai “troppa”, ma solamente e perfettamente giusta. Lo stesso equilibrio che il disco successivo, “Reveal”, proverà a ripetere, questa volta alla luce del sole. Senza riuscirci.
R.E.M. – Up
Warner Bros – 60 minuti
Queste dovete ascoltarle: Hope, Walk Unafraid, Diminished, Falls to Climb
Zavalutazione: ♥♥♥♥♥