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1 Song a Day Musica

1 Song a Day: New Year’s Day (U2)

U2 New Year's Day

Una canzone al giorno leva il medico di torno. Se è quella sbagliata, nel posto sbagliato, all’orario sbagliato, ti leva di torno pure il contratto a tempo determinato o d’affitto. Un bel chissenefrega è comunque sempre auspicabile.

Immancabile: per il primo dell’anno, la canzone del primo dell’anno. Nonché una delle cose migliori partorite dalla premiata ditta irlandese. Quasi sei minuti di strepitosa cavalcata rock da anni ’80, tra cavalli infreddoliti e controfigure nel video. Tra testi apocalittici e capelli veramente oltremoda. Ma è tutto da asciugarsi le lacrime ogni santa volta. Per la terza volta: buon anno!

New Year’s Day

Di: U2
Durata: 5′:36”
Dal disco: War
Anno: 1983
Guarda e ascoltaclicca qui
Cose su questo blog: nada di nulla!

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Giornate Variopinto

Mio fratello è figlio unico

Nel Natale del 1995 l'incontro storico tra Nirvana e U2.
Nel Natale del 1995 l'incontro storico tra Nirvana e U2.

L’enigmista: cosa ci fai con un box doppio se la rampa per arrivarci è talmente ripida che la mia amata Civic d’annata ci ha già lasciato giù una marmitta? In due anni le ipotesi vagliate sono state tante, all’incirca due: lo lascio così com’è + prima o poi ci farò qualcosa. Bene, manca la materia prima (i soldi) per comprare un cabinato doppio di Out Runners e tramutarla in sala giochi privata. Non ho nemmeno portato da Merate il vecchio mobilettone basso e lungo, moquettato e così anni ’70 che avrebbe rappresentato un discreto punto di partenza per trasformare la zona nel paradiso del retro-giocatore. Con un problema basilare: tutte le vecchie console avrebbero raccolto con precisione ed efficacia quintali di polvere e foglie secche ogni giorno.
Perlomeno l’ho ripulito, ovvero ho spostato una quindicina di scatoloni di vecchie riviste di videogiochi e fumetti da lì alla cantina. Appallottolato in un angolo un mezzo quintale di foglie secche, mangiato ragnatele a sufficienza da poter saltare la cena e imbattuto in un discreto numero di Smemorande liceali. Che è sempre una cosa da non fare. Nel mezzo ho però ritrovato una cartolina che nei miei ricordi era solo un biglietto di Natale. E non una cartolina-biglietto. Ricordavo la citazione (“it’s no secret that a friend/is someone who lets you help/…/they say a secret is something/you tell one another person/so I’m telling you… child” – “The Fly”, U2), ma non che fosse una cartolina e che quindi avesse un fronte: che è poi una delle più famose foto dei Nirvana. Era dedicata al Natale 1995 e firmata da mio fratello, che nello spazio dell’indirizzo ha avuto anche la buona creanza di indicare “Seattle” come residenza del sottoscritto. Solo ora colgo quanto meschina fosse la presa in giro, evidentemente impossibile da cogliere al volo per un giovane, illuso, che aveva scoperto da circa un anno il grande rock’n rock. Gente orrenda.
Ma comunque: cosa cacchio ci faccio con questo santissimo boxone doppio abbastanza sul gigante? No, “cambia auto” non è una strada attualmente percorribile.

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U2 ostaggi degli U2

U2 a San Siro: special ones?
U2 a San Siro: special ones?

San Siro dà, San Siro toglie: e alla fine rimango con il dubbio di non aver capito come posizionare il concerto, prima delle due serate che gli U2 dedicano a Milano all’interno del loro 360° Tour. Durante i primi venti minuti è tutto un guardare fisso, interrogativo, con occhiate stupite a mio fratello e alla Signorina Lucia… c’è qualcosa che non va. A differenza dei Depeche Mode, questa volta siamo in alto: niente prato, terzo anello. Non per scelta, ma per obbligo (Ticketone, sto guardando te). Il clima è libero, felice e appassionato. Scomparsi i poveracci che hanno riempito il finto parterre di Gahan e soci solo per mirare a un po’ di materia prima facile, magari lanciando birre a cazzo un po’ ovunque, qua ci si deve sorbire al massimo una confraternita teutonica dedita alla pulizia-con-panno-igienizzato delle seggioline. Non capiamo, ma ci adeguiamo.
Lo shock, quello accennato prima, però rimane: “ehi, ma si sente da schifo!”. Ma tipo da schifo. Ma tipo troppo da schifo e in maniera troppo improbabile per essere un semplice problema strutturale dello stadio: la voce arriva ora nitida, ora velata, a tratti possente, altre volte ovattata. La stessa sensazione di quando un suono una voce vengono momentaneamente nascosti da un ostacolo, una finestra, una persona che passa. Non può essere. Misteriosamente, dopo i primi cinque o sei pezzi, la situazione migliora. E’ anche il tempo che gli U2 si sono dedicati per voler bene allo splendido “No Line On the Horizon”, che tiene a battesimo il concerto con le prime quattro canzoni.

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Sympathy for the MacPhisto

MacPhisto fa le coccole a MacPhisto
MacPhisto fa le coccole a MacPhisto

L’ho scritto nella mia biografia, quindi è risaputo: il disco che preferisco, tra tutti quelli firmati U2, è “Achtung Baby”. “Scelta coraggiosa!”, direte. Be’, no, ma chissenefrega? Potrei metterci anche “War”, così, tanto per aggiungere un tocco di snobismo, ma non lo farò (l’ho fatto). E il periodo “Achtung Baby” – “Zooropa” è anche quello a cui sono più legato pensando al gruppo, assieme anche a “Pop” ok. Ovviamente e semplicemente per motivi anagrafici, sono gli anni in cui ho capito che la musica era un po’ tipo troppo meglio di tutto il resto, cioé oh, che storia. E se “Achtung Baby” l’ho scoperto un po’ dopo (per intero intendo, perché sfuggire alle varie “One” o “The Fly” in radio era impossibile), “Zooropa” l’ho vissuto tutto in diretta, su di una cassetta (comprata alla stessa Città Mercato citata qualche giorno fa) poi trascinata al campo vacanze estivo con la scuola dell’epoca. “Pop”, quindi, era il diretto discendente, nel periodo di massima mitizzazione del grande rock’n rock, in cui si scopriva tutto, si leggevano mille riviste (ricordo chiaramente di essermi avidamente spolpata l’anteprima del disco sdraiato sul letto a Vimodrone, grazie a RockStar), si discuteva anche con l’esperto di U2 di casa. Che non ero certo io. Poi il concerto a Reggio Emilia e blablabla. Ma gli anni di “Achtung Baby” e “Zooropa” avevano qualcosa di diverso, bello spalmato evidente sulla videocassetta usata per registrare il famoso concerto a Sidney dello Zoo TV Tour. Ed era un Bono in piena fase “sono Dio, ma sono ancora sufficientemente giovane per fare il coglione. Però sono Dio”. E Dio Hewson si declinava ogni sera attraverso Bono (il cantante autore), The Fly (la rock star scintillante), Mirror Ball Man (la personalità mediatica deviata) e… e MacPhisto. Il diavolo. MacPhisto era figo. Cioé, un vero baraccone mobile, ridicolo, inguardabile, eppure un figo spaziante. Oggi Bono non potrebbe vestirsi da MacPhisto, è fondamentalmente un vecchio devastato, non può (il nuovo disco però è proprio bello forte, ne parleremo in una puntata a sé). Ai tempi andava bene e mi manca tanto. Telefonava alla gente importante e la prendeva per il cippirimerlo, mica pizza e fichi. Era ancora sufficientemente rock per fare meno la star amica dei possenti potenti, quindi poteva permetterselo. Di fronte a quella distesa infinita di televisori, dietro al microfono da cui MacPhisto si prendeva i meriti del capitalismo sfrenato, della dittatura televisiva, dell’elezione di Bill Clinton e via andando. Quello era ancora un Bono vispo e scattante e lo sarebbe tuttora, se non avesse deciso di infilarsi (forzatamente) nel sarcofago con “All that you can’t leave behind”. Ma l’amore è immutato e il concerto (a San Siro) prenotato.

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