La faccia schifata, contrita, disgustata e allucinata di una signorina per bene quando la metropolitana si ferma a Centrale. Lei, discesa dal cielo sulla sua nuvola di zucchero e attorniata da mille putti canterini, non può sopportare di trovarsi dove si trovi. Di fronte ha un impiegato vestito bene, forse addirittura un dirigente: giacca che stoica sopravvive al vapore umano che sale dal carro merci in cui si è tramutato il vagone, dà le spalle alla Principessina di ‘Sto Cazzo. Non mi sembra emani chissà quale fetore, peraltro cosa assai più che probabile anche quando si parla di giaccati&cravattati omini che in altri tempi furono Yuppies. Invece lei è schifata, con quel suo rifiutare la realtà che mi pone mille domande sull’incapacità di tanta gente di venire a patti con la realtà. E la realtà della Milano da bere di oggi è che si beve l’acqua piovana del monsone che ha investito provincia e capoluogo, tanto che ci metto quaranta minuti di auto da casa a Cologno, dieci minuti di attesa della metrò di cui sopra e poi un viaggio che, nonostante le bellezza di “Terra” (S. Benni) e “Tearjerker” (Red Hot Chili Peppers), tende a diventare fastidioso. Soprattutto perché a un certo punto non c’è più spazio per tenere aperto il libro e quindi mi tocca divagare e studiare la fauna, con particolare attenzione per quella che, incurante delle più normali leggi volumetriche e della compenetrazione dei corpi (al di fuori della filmografia pornografica), continua a spingere ossessivamente per trasportarsi dalla banchina al macello interno della carrozza.