Zaccheroni archivia il primo tempo al Dall’Ara senza grandi bestemmie, anzi, con un sorrisetto. Perché dopo appena quattro minuti dal fischio d’inizio, Diego spiattella in porta dopo due ottimi interventi dell’estremo difensore bolognese (prima sullo stesso Diego, poi su Amauri). Insomma, gol caparbio, dopo 240 secondi in cui la Juve non aveva visto palla.
Il Bologna, per nulla colpito nell’orgoglio, continua a macinare chilometri: per tutta la prima frazione spinge forte e quasi sempre bene sulla fascia destra. Perdendosi però una volta in zona Buffon. La Juventus risponde con una buona circolazione palla, correndo meno disperatamente rispetto ai tragici tempi recenti e quindi sprecando meno fiato e arrivando sempre più lucida nella costruzione delle azioni. Che portano a un palo sempre di Diego e a qualche gran bella giocata di Del Piero, che non è mobilissimo, ma che pare graziato dal controllo di palla e dalla visione tipiche dei giorni migliori. Nel secondo e ultimo minuto di recupero i padroni di casa vanno vicini al pareggio con un gran tiro di Guana, che comunque finisce tranquillamente a lato. Juve ordinata e senza grandi sofferenze, Amauri efficace, Diego spesso troppo spostato sulla sinistra. Se ci fosse Camoranesi…
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Sono già pronto a raccontarlo ai miei figli, ah! Che domenica! Segna addirittura Amauri, uno dei suoi goal. E dopo la rete ritrova convinzione e torna a essere per un tempo intero un giocatore di calcio (poi viene sostituito). Sembra meno pesante pure Diego, che regala un assist di classe a Del Piero. Del Piero che parte male e poi è un continuo crescendo. Sissoko a sprazzi, Caceres idem, Zebina mele (male+bene). Buffon: per la legge dei grandi numeri è una benedizione la papera, non dovrebbe farla ai Mondiali così. Attenzione però: il primo commento va lasciato libero al Dr. Manate per una sapida battuta sul rigore che non c’era. Vai Manate, è tutto tuo.
Perché il cambio di panchina va bagnato con un liveblogging d’altri tempi (ovvero solo due o tre mesi fa, quando c’era ancora un 5% di voglia di far finta di crederci). Presto su questo blog: i gol de’a Lazie, stai tuned!
25. L’arbitro ha deciso di fischiare qualsiasi contatto a favore della Lazio negli ultimi cinque minuti. Ma la partita finisce in pareggio. Immeritato per la Lazio.
24. Fuori Del Piero per Paolucci. Ritorna la Juve che gioca solo coi palloni alti, quella che non fa nulla di buono insomma. I padroni di casa hanno evidentemente subito il contraccolpo del pareggio laziale.
Qualcosa mi lascia intendere che abbia già capito tutto. “Santiddio, spero almeno che abbiano un conto aperto al ristorante buono che altrimenti mi sparo”.
Metà centrocampo titolare fuori, una fascia sinistra senza padrone e la prima assenza di Capitan Del Piero al debutto del campionato: la Juventus si presenta all’Olimpico di Torino con un ricordo sbiadito della formazione titolare. Quel che c’è, però, le basta per chiudere avanti di una rete il primo tempo.
I nomi sono tre, e non c’è il predestinato Diego: Tiago, Poulsen, Cannavaro. Il portoghese si inventa prezzemolino: ha detto in estate che era nato per giocare in un centrocampo a rombo e, pensa te, non era una cazzata.
Il calendario della Serie A
Sempre troppo tempo, troppi pomeriggi, troppe domeniche fiacche e una valanga di sabati sera sfaccendati separano l’uomo mediocre italiano tutto pallone ed evasione fiscale dall’inizio del campionato di calcio. Epperò da questa sera si comincia a ragionare, sul nulla certo, ma è già qualcosa. Sono arrivati i calendari della prossima stagione che, ridendo e scherzando, è quella che ci porterà ai Mondiali del 2010. Woooh! Brutta notizia: sono passati tre anni e rotti dalla vittoria in Germania, la giovinezza se ne va! Woooh! Bella notizia: sono già passati tre anni e rotti dalla vittoria in Germania, manca (quasi) poco e poi si tornerà a conoscere la vera nazionale, quella con la enne minuscola che verrà sbattuta fuori dal Ciad nel girone di qualificazione.
Zlatan Italian Style: 2004-2009
In un’era in cui le mosse di calcio mercato della Juventus erano sconosciute ai più, ovvero quando a muovere i fili c’era il burattinaio pazzo meglio noto come Moggi Luciano, le cose succedevano come d’improvviso. Tutto ad un tratto, come il coro di “T.V.U.M.D.B.”. Tutto ad un tratto è anche arrivato Zlatan Ibrahimovic, assieme a Fabio “Capo del Mondo” Cannavaro, alla fine dei potenziali giorni di contrattazione dell’estate 2004. E fino ad allora Zlatan era un bo’ con un naso da favola. Aveva gonfiato a modo suo la rete che all’inizio della stagione aveva condannato gli azzurri fuori dagli Europei, ma forse era stato un caso. E poi, non diciamo cazzate, era quella vecchia bestia anomala di Trapattoni ad aver ucciso tutto. Comunque arrivò. E io provai a indagare.
Mai, prima di allora, avevo speso tempo e (poche) forze per documentarmi seriamente su di un giocatore che non (cor)rispondesse alla fu-zazzera di Del Piero o allo sguardo gentile e determinato di Zinedine. Ma di Ibrahimovic qualcuno aveva detto grandi cose. Ne erano convinti anche i fan allo stadio (terminale) che lo avevano venerato all’Ajax. Tanto che il lodato mondo della Grande Rete era ricco di filmati amatoriali con le sue cose migliori. Sarà…
Checatering, checatering!
“Sony Computer Entertainment Europe (SCEE) oggi ha annunciato di aver esteso fino al 2012 l’accordo di sponsorizzazione con la UEFA per la UEFA Champions League e la UEFA Super Cup (Super Coppa Europea, ndtZ!) nel 2009, 2010 e 2011“. Poi blablabla, siamo coinvolti nella faccenda da nove anni, blabla, il football è nel nostro DNA da molto tempo, blabla. Bla. Che mestizia. In altri tempi sarebbe stata una delle notizie dell’anno: scontata, ma più che benvenuta. Gli altri tempi erano quelli che facevano piovere in redazione biglietti per le partite di Champions League. Dopo il cambio, le cose sono andate meno bene. Complice anche l’assenza del giovane Simon in zona cannone-spara-tagliandi omaggio, i biglietti sono semplicemente spariti. Un po’ lo scazzo. Un po’ l’essere crollati nelle classifiche dei PR (suppongo). Un po’ la vita che va via via peggiorando perché sennò cosa ho ascoltato “Faith” e “Seventeen Seconds” a fare?
Di tutti i privilegi, in realta molto relativi, di cui ho goduto in tredici anni di onorabilissima attività para-giornalistica, il biglietto gratuito per la partita di Champions era il momento di maggior sfregio verso il “poveraccio che se lo deve pagare”. Momenti belli, brutti, noiosi, strepitosi, medi. Ma, in generale, da acchiappare al volo: la strada quasi sempre sgombra tra Milano e Torino per arrivare al Delle Alpi; l’impareggiabile catering pre-partita e le torte + pasticcini a metà incontro; i posti in tribuna lussuosa assolutamente da stropicciarsi gli occhi; un paio di volte pure il parcheggio privato. Cose belle, ma davvero belle. Entrare nella suddetta zona catering e leggere i monitor interni della UEFA su cui scorrono le formazioni, con le discussioni dell’ultimo secondo a base di Patriarca. Il viaggio con la musica che ogni tanto andava anche data in gestione al Patriarca di cui sopra, che grazie al cielo aveva già perso le abitudini discotecare pasticcate degli ultimi anni ’90. Il rumore dello stadio e le luci. Il rombo del pubblico. Il riscaldamento con “minchia Pavel, grande Pavel!”. La partita col Bruges leggendo il giornale e fischiando alla curvettina belga sopra di noi che osava seguire la partita più noiosa del mondo. Gol di Del Piero. Di testa. Ancora state lì a rompere? Andate a casa dai, che è pure lunga. I soliti ottavi o quarti in cui si usciva giocando male, ma male, ma maaaaale. La partita in cui ho portato mio padre, che ancora oggi ci vado fiero e poi ho mandato una mail a Simon per ringraziarlo, col cuore in mano. La partita: LA partita. Juventus-Real Madrid, quella del gol di Zalayeta. Quella con decine di migliaia di persone che salutano Ronaldo (“gordito!”). Quella che c’era anche Ualone, con il cappello da pescatore, zitto e un po’ incazzato seduto mentre tutto lo stadio (per l’occasione, più unica che rara, stracolmo) si alza e grida. Una cosa che se non ci sei stato, non lo sai. Poi l’ultima, quella con l’Arsenal che andrà a perdere in finale col Barcellona (2006), con Nedved che si fa espellere quando finalmente si stava iniziando a fare qualcosa. E con me e Luca che facciamo il Grande Gesto (GG), ci alziamo per andarcene prima. Usciamo a sedici secondi dalla fine, quindi non è che fosse ‘sta grande presa di posizione, ma vabbé. Poi la B, poi il cambio, poi la mestizia. Poi più nulla.
Ma è stato bellissimo finché è durato.
Il Corriere della Sera è ufficialmente l’organo stampa ufficiale dell’Internazionale Football Club. E’ l’unica evidente motivazione che può giustificare una “spalla” di commento pubblicata oggi nella sezione sportiva e firmata Gianfelice Facchetti, figlio di cotanto padre. L’uso comune vuole che, quando a scrivere sia un “invitato speciale”, un non-giornalista del Corriere insomma, due righe ricordino al lettore il perché e il percome della celebre firma. Così non avviene oggi, quindi rimane l’unica ipotesi che Facchetti Jr. sia effettivamente inserito nell’organigramma di via Solferino, evidentemente per distribuire comunicati stampa ufficiali marchiati di nerazzurro. Nel migliaio di caratteri odierni il Facchetti si lancia in un’accorata accusa alle parole di Fabio Cannavaro, capitano azzurro e neo-ri-acquisto juventino, che nei giorni scorsi ha ricordato di aver vinto due scudetti con i bianconeri, puntando quindi al numero 30 della società torinese. Le parole di Facchetti sono gentili e rispettose, non prendono posizione, né fanno intuire una benché minima acidità di stomaco:
Cannavaro insiste in maniera patetica sulla storia dei 29 scudetti, in barba alla giustizia sportiva. Lo fa senza ritegno, senza che nessuno dei vertici federali gli faccia presente quel che è stato e che il ruolo che oggi riveste comporta responsabilità
Così, senza colpo ferire. Ci va giù di fioretto proprio. Prende il capitano, quello a cui l’altro Fabietto impartiva ordini di coreografia (“Alzala alta capitano!”) meno di tre anni fa, e lo definisce “patetico”, “senza ritegno”. O perlomeno così definisce le sue esternazioni. Il Corriere non si premura né di inserire la questione all’interno di un articolo di dibattito, sentendo l’altra campana o, mal che vada, ponendo Gianfelice di fronte alla di un giornalista della testata che possa trattare Facchetti come “uno che ha delle cose da dire a riguardo” e non “la posizione del nostro opinionista Facchetti”. Che, così, pare essere anche quella del giornale tutto. Facchetti non solo ha la miopia di non intuire la visione umana e sportiva di un calciatore che, sul campo, ha sputato l’anima per quei due campionati. Facchetti non solo grida alla lesa maestà dimenticando che suo padre è stato accusato da più fonti (succede proprio in questi giorni al processo in corso a Napoli che, oltretutto, pare deciso a smontare un bel po’ delle verissime verità di quello sportivo organizzato da un ex alta sfera interista) di aver intrattenuto rapporti privati con gli arbitri. Facchetti non solo dimentica che suo padre è stato inibito alla professione per essere entrato, senza autorizzazione, nello spogliatoio di un arbitro nel bel mezzo di una partita (ricorda qualcosa che ha a che fare con Moggi). Facchetti non solo fa finta di difendere l’inattaccabile lealtà sportiva di un club che ha giocato per delle stagioni con calciatori tesserati grazie a passaporti falsi (certificati). Facchetti non solo passa sotto silenzio il fatto che Cannavaro abbia sempre (sempre, inclusi i tre anni al Real) reclamato come propri quegli scudetti, ma che anche Zambrotta per dirne un altro che alla Juve non è più legato, ha detto le stesse identiche cose. Ma soprattutto… lo ha ribadito poche settimane fa Ibrahimovic. Uno che, guarda un po’, arriva all’Inter, gioca nell’Inter, fa vincere l’Inter (e solo grazie a quel “processo”). E che è tuttora nella rosa dell’Inter. Non solo il bon Gianfelice fa tutto questo, ma fa anche la voce grossa, batte i piedi e sembra un po’ il pazzo che grida da solo. Perché si può discutere di tutte le faccende di cui sopra, ma tutti i giocatori della Juventus di quegli anni hanno vinto quegli scudetti sul campo, correndo, legnando, segnando, sudando: umanamente è una convinzione inattaccabile. Tranne che per Mr. Magoo.