Tanto tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, quando si recensiva un videogioco non esisteva la scappatoia del “è un gioco per bambini”. O, perlomeno, si tendeva ad etichettare i giochi che tali apparivano con una decisiva avarizia. In soldoni: succedeva una volte ogni morte di papa, per roba tipo Barbie e la Gioventù Hitleriana o giù di lì. In questo decennio arricchito pericolosamente da almeno una generazione di gente che scrive di videogiochi da un bel pezzo e che quindi si sente “cresciuta”, avviene con allarmante regolarità. Il più delle volte è un circolo vizioso, uno di quelli tipo: “Maurizia Paradiso è una donna orrenda” – “Ma perché è un uomo”.