Sei dischi di platino! Concerti esauriti ovunque, tipo al Madison Square Garden e a Wembley! Mamma mia cosa non sono forti i Foo Fighters! E allora? Allora si meritano il solito raccoltone natalizio da regalo mediocre, no? Sì. Si chiama, sentite questa, “Greatest Hits” e arriverà il 3 novembre, con due inediti. Il primo è “Wheels” e il gruppo lo ha messo oggi in rotazione su… YouTube?
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Julian Banks in: grattacielo con vista
Julian Plenti potreste conoscerlo anche se non sapete di conoscerlo. E’ uno di quei nomi fittizi per far finta di non esistere o di non contare una fava, insomma: per lanciarsi senza troppe aspettative. Un po’ come il Grohl dei Foo Fighters, anche se poi il travestimento dura sei minuti e quindi tanti saluti. Julian Plenti è Paul Banks, voce tendenzialmente inconfondibile degli Interpol e a fine agosto pubblica il suo disco solista “Julian Plenti is… Skyscraper”. Il fantastico mondo dell’Internet ha però già cominciato la distribuzione elettronica e vagamente illegale dell’album.
A prima botta: dopo tre o quattro ascolti (gli undici pezzi fermano il cronometro dopo meno di 40 minuti) la sensazione non è troppo dissimile, per tipologia, da quella che lasciava “The Eraser” di Thom Yorke ormai… uhm, tre anni fa. Una versione spogliarello della musica degli Interpol, con arrangiamenti sempre meno ricchi, alcune atmosfere più pericolose se allestite dal gruppo di New York e un po’ di voglia di mettersi lì e fare qualche canzoncina giusto per farla.
Suntone per chi non vuole leggere più di 140 caratteri sull’internet: “In questo post dico che il primo disco dei Foo Fighters non solo è il migliore, ma proprio è un’altra roba”.
Nel suo “La versione di Barney”, Mordecai Richler interpreta il vecchio e mezzo rincoglionito ebreo canadese Panofsky. Dimentica il nome di oggetti di uso comune, confonde le date e mescola a sua insaputa ricordi della gioventù. Io, nella mia Versione Panofsky, ricordo abbastanza chiaramente l’estate del 1995, in particolare un momento: in vacanza nei pressi di Golfo Aranci (Sardegna), frequentavo spesso e volentieri una peraltro malmessa edicola del porto. Primo: perché ero già, inconsapevolmente?, affamato di riviste e affascinato dalle stesse. Secondo: perché in zona non era rara la frequentazione di militari americani (d’istanza lì attorno), il che portava alla presenza di una nutrita gamma di pubblicazioni inglesi dedicate al grande mondo del rock’n roll. Insomma, compravo (o scroccavo) il New Musical Express, mi sciroppavo roba di Melody Maker o Kerrang! e adocchiavo senza vergogna anche le faccende italiane à la Metal Hammer. Insomma, ricordo abbastanza chiaramente di aver letto, in piedi e mezzo ipnotizzato, di un’anteprima del disco dei Foo Fighters. L’omonimo disco che avrebbe debuttato a brevissimo e di cui l’autore del pezzo aveva potuto ascoltare una versione completa: mancavano, però, i titoli delle canzoni. Quindi “Big Me” diventava “I Fell Into”, per dirne una. Eppure è impossibile che sia successo, perché il primo album del post-Nirvana per Dave Grohl nell’agosto del 1995 era già stato pubblicato. Non solo: lo avevo di già, dato che ho delle vere certezze (qui sì) su di una vacanza nel luglio dello stesso anno a Cannes a casa di un mio ex-compagno di classe. Lì mi sono presentato con il disco in mano, costringendolo a ripetuti ascolti e con dei repeat posizionati ad arte su “Good Grief” e “Alone + Easy Target”. Fast forward di un anno, perché ora sono sul balcone dell’appartamento a Vimodrone, durante una festa di compleanno di mio fratello (marzo) in cui si parla, con altra gente che non ha preso bene il buco in testa di Cobain, di quanto sorprendentemente buono sia il lavoro dell’ex batterista.