Spendere i soldi per il gusto di spendere dei soldi: deh! Quale ignobile deviazione ha corrotto questa società d’occidente d’oggigiorno? Ed è giusto lamentarsene, accusare il dramma dello shopping curativo, alla faccia dei bambini con le mosche. Ma così, anche se non vi pare. Soprattutto dopo aver selezionato la casella “videogiochi” tra le proprie passioni preferite.
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Tre dischi. All’incirca tre ore di musica spalmate attraverso tredici anni. Tredici, lunghi, anni e sole tre “uscite” per i Daft Punk. Quando usciva “Homework” (1996), facevo ancora in tempo a prenderlo e prestarlo a qualche compagno di classe sprovveduto. Alla pubblicazione di “Discovery” (2001) vivevo nella casa dell’infanzia ed ero totalmente sprovvisto di contratto, nonché alle prese con il miraggio dell’università. Arrivati a “Human After All” (2005), il mondo mi pareva promettere splendidi lavori a base di scrittine e biglietti per la Champions’ gratuiti. Ora, santiddio, sarà mica venuto il tempo di buttar fuori questo benedetto quarto album? Anche la media dei quattro anni e mezzo è stata rispettata. Abbiate pietà.