Toglile il panorama mozzafiato della Gorge (Washington), levale il Central Park o il Golden Gate Park (New York e San Francisco), trascinala via dal Red Rocks Park in Colorado e cosa ti rimarrà della Dave Matthews Band? Un’ottima live band, un po’ meno viva. Perché a Dave Matthews e ai suoi la cartolina “Greetings from…” calza semplice e naturale, con i suoi dovuti colori kitsch, tradizionali come il rock venato di country del seghino sudafricano e del suo esercito. Come l’aquila dell’immaginario statunitense, anche alla band del sud degli USA lo spazio serve per prendere fiato e incendiare l’aria.
Ai sette (!) sul palco, il vecchio Palatrussardi sarà parso una balera di paese, ma non è bastato per togliere energia alle due ore e mezza di concerto, aperte con “Proudest Monkey”: perché tanto non c’è vecchio e non c’è nuovo se sei in perenne tour, se sei uno di quei gruppi che vive masticando biglietti e contatto visivo con le squinzie in prima fila o gli avvocati in ultima (ieri erano circa a metà, verso sinistra, di fronte a noi – impassibili).
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Musica e parole di
Il fallimento musicale di “Stand Up” (2005) e la morte di LeRoi Moore hanno messo in dubbio il senso della Dave Matthews Band in quanto gruppo da studio (prima) e in quanto band musicale in senso più generale (poi). Quello che non è mai stato in discussione è il legame e il senso di possesso sull’intera avventura che Dave Matthews esercita nei confronti del suo “comitato musicale”. E’ roba sua non solo perché il nome lo dice chiaro e tondo, ma anche perché è lui che detta i toni e gli ambienti/le atmosfere da percorrere all’interno degli album, almeno questo traspare dalle cronache e soprattutto dalle liriche di ogni canzone. Che nei riconoscimenti viene firmata da tutto i componenti, ma che è poi impossibile non riconoscere come parto del sudafricano: non per meriti, ma per demeriti.
Tuffi annoiosi
Che giornata di scazzo estremo. E dire che avrei anche poco da fare, giusto Guitar Hero Metallica, di cui ora scrivo due pagine e saluti. Ma che scazzo. Non solo perché la barra della pennata della chitarra di World Tour (primo strumento che compro nella mia vita di semi appassionato di giochi musicali) ha deciso di semi-rompersi, così, perché si sentiva troppo prolifica. Ma anche perché c’è dello scazzo strutturale un po’ incomprensibile. Che palle. Però siamo arrivati a un’uscita decente (256kbps) dell’ultimo della Dave Matthews Band. La copertina è carina, perlomeno, e il disco in sé non è una colata lavica di nulla come quello che lo ha preceduto nel 2004. Anzi, c’è già un bel pezzo vecchio stile (“Dive In”). O magari anche due o tre. C’è anche l’apertura e la chiusura con pezzi del Signor LeRoi, come già il Feiez di dieci anni fa. Che scazzo.