Onorevoli convenuti: la qui presente recensione di Dante’s Inferno è a opera di Shrapnel, che qualcuno conoscerà meglio con il soprannome di “Shrapnel”. Lo avete forse visto su Area21.it, più probabilmente in zona Super Console (lì usava come nick “Erik Pede”), Videogiochi o PSM (ma anche NRU volendo). Comunque questa roba è sua ed è bella.
Nonostante la faccenda sia effettivamente sin troppo appropriata per risultare casuale in modo convincente, e non studiata a tavolino, Dante’s Inferno ha, come il Lucifero dantesco, non una, non due, bensì addirittura tre facce. La prima faccia è ovviamente quella del clamore, della polemica, dell’eccesso e dell’estremizzazione. Ancor prima dell’uscita nei negozi, Dante’s Inferno ha scatenato la solita dose di casino per via della sua ultraviolenza, per gli spargimenti di sangue, perché si ammazzano i bambini non battezzati (c’è persino un Trofeo volto a premiare chi ne annienta almeno un tot) e per un miliardo di altre ragioni più o meno condivisibili, ma comunque interessanti per il pubblico medio dei telegiornali.
S’è anche parlato, peraltro non a torto, della scarsissima aderenza del gioco al materiale d’origine, ma in questo senso ci sarebbe da chiedersi cosa diavolo ci si aspettava da un titolo d’azione, no? Dante’s Inferno non può e non vuole essere un vero adattamento dell’opera del divin poeta in chiave videoludica, limitandosi a sfruttare le idee più dinamiche della Commedia quali fondamenta per il classico gioco caciarone. Sull’estremizzazione, invece, si potrebbe anche discutere: i nudi abbondano, le fattezze di alcuni avversari sono provocanti all’eccesso (e non solo in senso prettamente sen/ses-suale), Lucifero se ne va a zonzo con il salsicciotto all’aria aperta e il tutto, spesso e volentieri, appare decisamente gratuito, perlomeno all’occhio dell’addetto ai lavori che capisce, più o meno, quando qualcosa viene aggiunto soltanto per generare rumore, hype.
Ma in fin dei conti, chi se ne frega: le ambientazioni sono interessanti, la tecnica con cui sono costruite (fondali bidimensionali allestiti con texture animate) pure; e l’eccesso, a ben vedere, sfocia sovente in quella sorta di kitsch che in un videogioco, tutto sommato, si può anche accettare.