Per fare un po’ il ganassa-che-ne-sa e per non arrecare troppo fastidio al mondo che, incurante di tutto, continua a girare qua attorno, ho messo “A kind of blue” di Miles Davis. In ufficio, a volume quasi inesistente (e attraverso le miserrime “casse” dell’Eee PC, che quindi è tutto dire). Non si dovrebbe fare, vista la mancanza di porte, ma date anche le altre mancanza (in ordine: di due su quattro dell’affiatatissimo team, di reattività alla vita da parte del sottoscritto causa orari per ora infami, di reale lavoro da portare a termine) mi sono sentito quasi giustificato.
Il dramma di riuscire a riprendere i ritmi scolastici fusi con quelli delle uscite dagli uffici dei pendolari e conseguente ritorno sulla Milano-Lecco (via Carnate). La voglia di fare foto la mattiina presto andando verso la stazione e poi scoprire che… anche no. Il caffé questa mattina al tabacchino di Osnago, con vicino una simpatica vecchina che attende spazientita il gestore alla cassa (“vorrà prendere un bel cornetto e ricordare i tempi in cui i treni arrivavano in orario grazie al Grande Capo”, penso, “e invece quello là [il gestore, nda] sta al videopoker a tirar fuori le quintalate di monetine che i poveracci gli hanno lanciato dentro”, concludo). Poi invece scopro che la vecchina voleva farsi cambiare un cinquantone per discoglierlo nei suddetti videopoker. E già la poesia della mattina presto che ti mette voglia di fare viene nuclearizzata sul nascere.
Ora dovrei proprio mettere sù quel disco là del Dr. Young che non ho ancora mai messo: “On the beach”. Per vedere se è tanto facile entrare in depressione da sonno.