Appena tornato da Londra, il regalo di laurea di donna Santilli ha funzionato nel migliore dei modi e dei mondi possibili, quello rappresentato per l’occasione da sessanta e rotte mila persona riunite a Hyde Park. Ma non è questo il momento per parlare del concerto dei Blur. Sul giradischi gira (ovvio) “One Hot Minute”, l’unico altro disco dei Red Hot Chili Peppers che serve davvero dopo “Blood Sugar Sex Magik”, di un bello che ancora oggi non perde un’unghia del suo impatto. L’ultima volta che Kiedis, Flea e soci hanno provato (volenti o nolenti, vedi alla voce “Frusciante è uscito dal gruppo”) a non stare fermi. E hanno fatto qualcosa di splendido, largamente sotto-apprezzato dalla critica che voleva solo “Blood Sugar Sex Magik Parte 2”. All’arrivo anche la gioiosa scoperta che il postino ha infilato a CazzoDiCane l’LP di “Vitalogy” nella casella, solo per un angolo: la pioggia di oggi ha fatto il resto. Non sufficiente per ammazzarlo, né per fargli venire un raffreddore grazie al cielo. Domattina i vicini si pupperanno quello.
Felicità, abbracci, figli maschi e saluti.
Pop Machine
I dati sono fuori. La settimana che si è chiusa domenica scorsa è stata scandita da Nielsen Soundscan che ha decretato l’unico verdetto decretabile: il dominio non solo incontrastato, ma puranco da record di Michael Jackson nella categoria “Billboard’s Top Pop Catalog Albums”. Nove posizioni su dieci, otto a nome di Jackson, una per l’allegra combriccola dei Jackson Five. La domanda retorica più retorica del mondo della musica, che si era posto anche Zio Lampadina Corgan (“If I were dead/would my records sell?” – “Heavy Metal Machine”, 2000), ha avuto la solita risposta.
Chiuse, circumaurali, con una frequency-response da 5 a 53.000 Hz e una normal impedence di 80 Ω, le DT 770 Pro di beyerdynamic sono una figata spaziante. Cioé, non ho veramente idea di cosa diavolo sia la normal impedence, ma, per dirne una, “Vs.” (Pearl Jam) non è mai stato sentito con tutto questo fluido di amore in circolo, almeno tralasciando i concerti dal vivo. Dolci dono del Gorman, le DT 770 Pro seguono l’evoluzione delle faccende per le orecchie e la musica avviata in maniera molto soft con gli auricolari in-ear di vario retaggio acquistati negli anni 2000. Cose belle, il difetto vero è che se oggi andassi a scuola nascondere una delle due padelle nel palmo della mano sarebbe meno probabile. E quindi dovrei pupparmi Dante nelle ultime due ore del sabato, che, si sa, non esistono.
Con un titolo così
Con un titolo così le premesse sono delle peggiori. Il titolo è “Black Gives Way to Blue”, ed è quello che si porterà appresso il primo disco di inediti degli Alice in Chains da quattordici anni a questa parte, quando uscirà sul finire del prossimo settembre. Ma se il nome è tutto da rivedere, è altrettanto sugoso scoprire che settembre va via via diventando il miglior mese dell’anno in quanto a uscite discomusicali: Beastie Boys, Pearl Jam e Alice in Chains. Il dubbio o il pericolo che l’operazione dei resuscitati di Seattle sia solo una triste rincorsa ai tempi che furono è perlomeno messo in discussione dal singolo (“A Looking in View”), liberamente e amabilmente scaricabile dal sito ufficiale: non è la miglior canzone mai scritta dal gruppo, ma ha un senso e ha un bel tiro. Non si svende per sonorità differenti e riprende più o meno quanto sentito tra “Alice in Chains” (si intende il terzo disco, l’omonimo del 1995 e ultimo ufficiale) e i lavori solisti di Cantrell. Un Jerry oltretutto in grande spolvero qua, con un bel muro chitarrone che tiene in piedi senza oscurare mai del tutto il lavoro alla batteria o i colpi di basso: un pezzo di quelli oscuri e pesanti come macigni che hanno reso unico il sound degli Alice in Chains. Con in più la scelta, evidentemente iper-ponderata, di mettere sia la voce di Cantrell che quella di Duvall bene in mostra. Uno: perché il chitarrista ha già ampiamente prestato le corde vocali in passato ai pezzi del gruppo e quindi pur sempre di continuità si parla. Due: perché evidentemente è meglio non fare troppo male a chi (tutti, spero) ha ancora bene in testa il dramma di dover prevedere un album intero degli Alice in Chains senza metà gruppo, che è quanto rappresentava il mai troppo amato con la lingua Layne Staley. Però si può fare.
Avanti che c’è posto
iPod Touch e iPhone: il futuro dei videogiochi, le nuove piattaforme, la rivoluzione e una minaccia clamorosa per Nintendo e Sony ai loro DS e PSP. Pare bello da dire, suona bene e sui giornali ti senti a posto con la coscienza e col pubblico giovanile. La realtà è un’altra: se anche il futuro passasse da un modello come quello adottato da Apple, difficilmente potrà concretizzarsi in una singola generazione elettronica. Insomma: non in due o tre anni (e dall’apertura dell’App Store è già passato all’incirca il primo calendario completo). Primo, perché la presenza del prodotto fisico ha ancora il suo bel perché, capace com’è (quando ci riesce, ovvio) di intercettare potenziali acquirenti che non sapevano di esserlo fino a cinque minuti prima. A differenza delle offerte Apple nel relativo Store, oggi come oggi può ancora succedere di passare di fronte alla zona videogiochi di Mediaworld, Saturn o chi per essi e fermarsi incuriositi da un cartonato, da un totem di prova, dai semplici scaffaloni di giochi, anche se fino a dieci secondi prima si puntava solo al frullatore a sei velocità con innesto a freddo. All’App Store ci arrivi perché vuoi arrivarci. Anzi no. All’App Store ci arrivi se puoi arrivarci, dopo averlo voluto: perché devi avere anche iTunes installato, una carta di credito, la voglia di utilizzarle su Internet e bla, bla, bla. Un mercato ancora piccolo e minuto rispetto a quello delle console tradizionali, ma a modo suo interessante ovviamente. Più vicino per specificità ai servizi di digital download di Xbox 360, PS3, Wii, PSP e DSi. E quindi una fetta di una fetta.
L’amore 2° gli Air
“Due anni e mezzo (per me), posson bastare”: “Pocket Symphony” veniva pubblicato nel marzo 2007, il nuovo “Love 2” conoscerà le gioie di iTunes il prossimo 6 ottobre. Quinto disco per i francesini, che festeggiano undici anni di carriera tutto sommato più che apprezzabile, ma al tempo stesso di quelle che partono col botto, per poi scendere. Magari scendere appena un pochino, lievemente, mantenendo una discreta media, ma sempre di scendere si tratta. Ma tempo al tempo, magari “Love 2” sarà il degno evolutore di “Moon Safari”, vai a sapere. Per intanto se ne arriva con una copertina piuttosto sfortunata, che fa il paio con quella ancora peggiore di “Junior” dei Royksopp e, volendo, con gli stessi air di “Walkie Talkie”. Per concludere in bellezza, dopo il “salto”, la solita ingenerosa valutazione dei titoli delle canzoni. Tha-dhan!
Tweet My Gaming
Con quasi 550.000 “cinguettate” in meno di un mese, Tweet My Gaming è il raccoglitore ufficiale delle chiacchierate dedicate ai videogiochi trasmesse dai server di Twitter. Urla o mugolii solitari, in realtà, dato che raramente i micro-post di Twitter si configurano come discussioni, con repliche e rilanci. Ma ci siamo capiti. Il servizio Tweet My Gaming è comunque efficace, almeno nella veste di monitor dedicato alla popolarità dei videogiochi. Che è poi ciò che potrebbe far drizzare le antenne ai vari responsabili marketing sparsi per il globo.
L’attuale Re della Collina è, poco sorprendentemente, The Sims 3 (96,331 tweet), seguito a grandissima distanza da World of Warcraft (33 mila e rotti) e Halo 3 (meno di 18 mila). Tutto il podio è dedicato ai giochi che, per loro natura, si legano al mondo “sociale” elettronico. The Sims 3 è, al di là delle opzioni e della struttura di gioco pensata appositamente, il gioco del chiacchiericcio psicotico, morboso, divertito, idiota o addirittura preoccupato. The Sims è la saga “nuova” del mega passaparola, il Grand Theft Auto della segretaria, quello su cui parlottare con leggerezza davanti alla macchinetta del caffé, in treno o alle poste (magari in un mondo meno preistorico rispetto a quello tricolore, ma vabbene uguale). World of Warcraft si spiega da solo: è una splendida chat grafica con dei tasti da schiacciare per mandare degli smile colorati ai draghi. Infine Halo 3, che sulla creazione di team, clan e condivisione contenuti (video) ha distillato la ricetta del suo elisir di eterna giovinezza (lanciato nel 2007, ha ormai pressoché due anni sulle spalle… e il single player si porta a casa in poche ore).
Unico animale fuori dal suo habitat è Wii Fit, che, sprovvisto di qualsivoglia funzione online o socializzante insita nella struttura del gioco, è però per sua natura materia di chiacchiera smodata dal parrucchiere, mentre si aspetta il bimbo che esce da scuola e giù di lì. Il che testimonia la forza, nell’immaginario, del “gioco” Nintendo. Posizioni appena arretrate per Call of Duty 4: Modern Warfare (multiplayerissimo – circa 15.000 tweet), Second Life (qui il gioco manco esiste, poco meno di 14.000 tweet). E poi… alla nona posizione, l’unico titolo ancora non disponibile sul mercato: The Beatles – Rock Band, caso mai servisse ancora una prova a favore della popolarità dei Fab Four nel mondo digitale.
E i più importanti giochi di oggi per gente solitaria? I recenti Prototype (meno di 5000) e Infamous (nemmeno 2000) sono molto al di sotto della sufficienza. Dead Space accarezza i 3500 tweet, Ghostbusters si apposta vicino a Prototype. Altrettanto interessanti i dati per piattaforma: la crisi di popolarità di Sony e di PlayStation 3 è evidente se Killzone 2 si ferma sotto al risultato ottenuto da The Conduit per Wii (disponibile da pochissimi giorni solo negli USA e dalle pretese di ben differente caratura!). Resistance 2 porta a casa la miseria di 611 cinguettii, nettamente oltrepassato dai quasi mille di Halo: Reach. Di cui, praticamente, non si sa nulla.
Maremma! Che poi mi dovevo anche difendere quando dicevo in giro che a casa ho “Off the Wall”, “Thriller”, “Bad” e “Dangerous”. Okei, l’ultimo tutto sommato poteva anche essere fonte di comprensibili schiaffi, ma i primi due… I primi due citati non si toccano. Schioppone a 50 anni. O forse a 712, a seconda di quello che era diventato nel suo tramutarsi in un para-umano. Peccato però. Che poi, per mettere sù il ricordo personale da “piangiamo tutti contro un muro” (ahrrr!): “Bad” è stato il mio primo CD assieme a “Introducing the Hardline According to Terence Trent D’Arby”, di Terencio, per l’appunto. Era il 1987, son cose che segnano. E poi uno nato nell’80 non può che viverla con cauto terrore un momento così: la caduta dei punti di riferimento assurdi. Achtung!
Per fare un po’ il ganassa-che-ne-sa e per non arrecare troppo fastidio al mondo che, incurante di tutto, continua a girare qua attorno, ho messo “A kind of blue” di Miles Davis. In ufficio, a volume quasi inesistente (e attraverso le miserrime “casse” dell’Eee PC, che quindi è tutto dire). Non si dovrebbe fare, vista la mancanza di porte, ma date anche le altre mancanza (in ordine: di due su quattro dell’affiatatissimo team, di reattività alla vita da parte del sottoscritto causa orari per ora infami, di reale lavoro da portare a termine) mi sono sentito quasi giustificato.
Il dramma di riuscire a riprendere i ritmi scolastici fusi con quelli delle uscite dagli uffici dei pendolari e conseguente ritorno sulla Milano-Lecco (via Carnate). La voglia di fare foto la mattiina presto andando verso la stazione e poi scoprire che… anche no. Il caffé questa mattina al tabacchino di Osnago, con vicino una simpatica vecchina che attende spazientita il gestore alla cassa (“vorrà prendere un bel cornetto e ricordare i tempi in cui i treni arrivavano in orario grazie al Grande Capo”, penso, “e invece quello là [il gestore, nda] sta al videopoker a tirar fuori le quintalate di monetine che i poveracci gli hanno lanciato dentro”, concludo). Poi invece scopro che la vecchina voleva farsi cambiare un cinquantone per discoglierlo nei suddetti videopoker. E già la poesia della mattina presto che ti mette voglia di fare viene nuclearizzata sul nascere.
Ora dovrei proprio mettere sù quel disco là del Dr. Young che non ho ancora mai messo: “On the beach”. Per vedere se è tanto facile entrare in depressione da sonno.