Un paio di giorni fa mi è arrivato il primo numero di “Wired”, docile frutto dell’abbonamento regalatomi a Natale dalla tizia lenta a scrivere. “Wired”, d’ora in avanti, verrà chiamato col suo vero nome su questo blog: “Ggiovani”. Ecco, me lo sono già letto un bel po’, ma per cominciare punterei senza esitazione all’editoriale che apre l’edizione di febbraio di “Ggiovani”. Perché non serve molto altro, almeno per ora. Senza commento, che credo si commenti da solo in più punti. Forza “Ggiovani”. E Forza Andrea da Catania! Anche se senza video e cuscino.
“Oh noes! Santi numi, avrà mica scritto un post tipo blog vero, in cui dice le cose sue dei fatti suoi?”. Chiedo scusa, ma siete avvisati.
La gente sul GAF sta tipo dando fuori di testa per la prima illustrazione di Project Needlemouse che Sega presenterà al pubblico. Ma tipo che stanno male, ancora. Dopo tutte queste corna, dopo tutto questo dolore, dopo tutti questi pianti, le urla, i piatti rotti, le accuse alla madre, gli sms letti di nascosto… sono di nuovo pronti ad aprire le braccia, col cuore già bello gonfio. In attesa della sifonata in mezzo ai denti. E quindi perché? Perché la nostalgia canaglia vincerà sempre, oh sì. E perché, soprattutto perché?, questo sembrava un post dedicato ai videogiochini e invece stiamo finendo ancora una volta nella solita roba trita e ritrita? Perché paga bene, viene via a poco e scontenta tutti. Risultati simili non si portano a casa tutti i giorni.
Il contadino saggio, quello che ancora non ha capito la storia del formaggio e delle pere, diceva che il tempo guarisce tutto. Non solo lo guarisce, ma gli tira sopra una palata di fard che è tutta un programma. Oggi uscivo dall’ufficio, dopo aver finito di vergare quella robetta sul crepuscolo. Ed ecco che proprio lui, l’infido bestio satanico del crepuscolo, deciso a prendersi nuovamente giuoco (“del calcio”, ndBerlusconi) di me, mi si appallottola tutto contro. Scelgo il disco dei Killers. No, pardon, scelgo lo strepitoso disco dei Killers, il terzo (“Day & Age” – 2008), credendo di ballonzolare leggiadro come mi è consentito dalle crudeli leggi del sovrappeso verso il 320. Invece no: ciondolo col mantellone blu tutto preso da quella caterva di bestiali rimandi a un tempo che fu. “Day & Age” è talmente intrifolato di anni ’80 buoni e talmente strepitoso nella concezione e nella produzione, che nemmeno te ne accorgi e sei tutto impiastricciato di vent’anni fa. Il che non aiuta a combattere il rosato-arancione della sera che viene a papparsi vivi tutti gli impiegatucci (me compreso) della zona.
Dailyrando: diciassette, fading out
The Twilight Zone è qua ed è questa. Il momento più palesemente mortifero della giornata ha già avviluppato con la sua lingua di amicizia l’intera zona assaghese (e, suppongo, anche il resto della pianura padana e giù giù giù fino a, chessò, Parma!). L’azzurro ha tenuto duro, non si è più fatto mettere sotto come a metà giornata, in quelle drammatiche tredici che tutti ci ricordiamo, quando abbiamo abbracciato i nostri cari e pensato alle crocchette del gatto, lucidando il pomello della porta spaccafiamme del bunker antiatomico di Nonno Palmiro. Certo, ora si va nel buio, ma vuol dire anche che si torna a casetta santa, che puoi ascoltare musica da crepuscolo sulla via di casa e che domani è un altro giorno. A patto di non rimanerci secchi nel mentre, che la vita è tutta troppo matta! Bònasera.
Strascicandosi sui gomiti si son fatte le quindici, o le tre piemme, che non è il product manager di Disney Hide & Seek, ma il post-meridiano. I fantasmi del dopo pranzo fluttuano tutti belli allegri, irridendo quella sana voglia di spaparanzamento sul divano che, ah!, tanti splendidi pomeriggi ha caratterizzato al meglio. Anche quando voleva dire addormentarsi giusto dopo la fine di quei dieci minuti di “Non è la Rai” e prima che cominciasse qualcos’altro. Sanpierdarena, che noia insormontabile e quanta malinconia addirittura delle pre-sgallettate di Boncompagni. Se non è intossicazione alimentare questa, non capisco proprio che altro potrebbe essere.
Aggiornamenti dal fattocoso della foto nello stesso posto: come si può abilmente dedurre in solitario, è tornato dell’azzurro. Del bell’azzurro. Le macchine non so, non le ho guardate. Di fronte, sui palazzi, nessuno ha approfittato del tetto per buttarsi di sotto, il che mi sembra un peccato (cioé, dico, di fronte alla sede di Sprea è successo – e va bene che il paragone è proprio crudele, però…).
Oltretutto, dato che Orecchie Asimmetriche ha sempre da ridire, metti fin da ora (e non con un post finale come mi ero ripromesso con una circolare interna di fare) la sequenza di foto dello StessoPostoNoioso a orari differenti, dopo il click qua sotto. Trattenetevi però.
Come da previsione l’azzurro sbarazzino se ne è andato. Non proprio del tutto, che un po’ ancora mi sopravvive, ma è incalzato con violenza sabbiosa dalle nuvolette bianche e mediocri. Ah! Dannate! Invece, clamoroso al Cibali, situazione pressoché invariata in zona parcheggio: tra arrivi e partenze si rimane su un “meh” che di sicuro farà più meh al parcheggiatore che a me. Arrrh!
Messa in pausa la Dave Matthews Band, i punti di contatto con l’inter-mondo si sono prodigati in due segnalazioni: una banale (“M’importa ‘na sega“, C.S.I.), una meno banale (“Zef Side“, Die Antwoord). La newsletter di MdA è pronta, se state per riceverla evidentemente c’è qualcosa di molto morbido che ci accomuna, ci avvicina e ci spaventa un po’. Ma se questa storia ha un senso, non voglio scoprirlo questa sera.
Per arrivare alla sera, però, serve prima pranzare. Tombolatona: si va alla MensaRistorante? Oppure al PaninoSbagliato? E al Carrefour? Niente Carrefour? No, niente Carrefour. Per intanto continuano ampiamente a vincere le undici. E si va verso la penultima tappa.
Proprio così, fermate le rotative: dalle nove alle undici il mondo non è imploso. Certo, ogni buon pessimista vi dirà che è peggiorato di un’ennesima tacca infinitesimale, ma qui a Milano c’è il sole. A gennaio febbraio. Il sole bello e caldeggiante. C’è addirittura il cielo azzurro che ci crede, potrebbe essere la scusa per ricordare a Surgo che anche qua succede, vedi? Ma lo dico con la morte nel cuore e un lutto lungo come il cappotto morbidone che mi porto dietro (perché comunque la mattina c’era un freddo da tagliare la faccia alle blatte): che bella ‘sta cosa del sole e anche un po’ ammazzati Generale Inverno freddo.
Nel frattempo sono successe poche cose, ma tutte estremamente significative. Non solo Menebach ha partorito la seconda puntata di Effetto Massa (a me mi piace), ma qualcuno ha anche annunciato un gioco dedicato a “Days of Thunder” (sì, quel “Days of Thunder”), qualcun altro ha scritto una roba sulle MILF e il Wii e io sto aggiornando Metropoli d’Asia. Che magari non sapete cos’è, ma che magari può anche interessare. In sottofondo la musica è diventata quella della Dave Matthews Band, per prepararsi al 22.
La noia del parcheggio, però, rimane immutata: abbiamo perso qualche macchina, ma se ne sono aggiunte di nuove e simpaticissime. Ce n’è addirittura una a gasolio! Fa delle battute che… non ce la faccio, è uno spiscio. Il sole è alto, aggiornamento SocialNoia alle 13!
No che non sono le nove, ma quando ho scattato la foto erano le nove e questo è un esperimento di SocialNoia. Dalla stessa posizione, differenti scatti per imbozzolare in una vagonata di pixel tutta la pochezza di un parcheggio-con-vista-periferia-vecchia. Di bello ci sono alcuni riflessi assolutamente gratuiti e generati da non si sa bene cosa o perché o percome. Probabile che sia un problema di particelle nell’aria, blocco del traffico, la Moratti, sua sorella e via andando.
Oggi tregua con Trenitalia, dopo che ieri ho provato di nuovo a partecipare alla Grande Lotteria. Il mio biglietto (quello che prevedeva il passaggio del treno alle 07.00) non era quello giusto e quindi ho dovuto ripiegare sulla Zavemobile 2.0. Che è sempre bello, ma che è anche sempre costoso. Oggi no, oggi amicizia: freddo che le vecchiette pazze della mattina manco erano in giro (non vive, perlomeno). Freddo che ho messo le calze colorate coi gommini sotto, in vera pura lana merinos. Me le ha vendute Mastrota, esatto.
Supergrass in treno, abbiocco in treno, niente Space Invaders Extreme 2, né libri. Arrivo traumatico, venti minuti di crudele spettacolino della commessa di Feltrinelli, vecchia conoscenza (soprattutto vecchia, poi anche conoscenza), che sparla malamente dei clienti. Quindi trasbordo fino a Famagosta, con tizia dallo stivale lungo che mi fissa insistentemente. I casi sono due: o sono bello in modo urtante, o Zero mi ha di nuovo graffiato la fronte nella notte. Lo stronzo non mangerà questa sera.
Quindi caffé americano (si fa per dire) da asporto, autobus 320, sobbalzi da pilota cane e post delle nove. Noioso? Eh grazie tante, che ho scritto io all’inizio?
Qualcuno ha un contratto a progetto e dei soldi ogni mese, evviva la vita! No, non sei tu Birbaz, ma vogliamo bene anche a te qui, dai.
Dovrei iniziare a preoccuparmi dell’immagine che traspare da questo blog del suo Emintentissimo Direttore, ovvero me. A Natale ho ricevuto la bellezza di due e dico due regali appositamente pensati per il blog. Ovvero risorse da presa per i fondelli, ma a loro modo comunque interessanti: il DVD di “Videocracy” e l’abbonamento alla versione italiana di “Wired”. Se quest’ultimo deve ancora palesarsi nella casella della posta, il DVD è ovviamente già presente. Di più, è pure stato visto e ho addirittura preso appunti, perché davvero ce n’era bisogno. Ecco, “Videocracy” è proprio quello che si aspettano i vari Feltri, i vari Panoram-ici, tutti quelli che vogliono ridurre in salmì l’anti-Berlusconismo, bollandolo come robetta adolescenziale da centro sociale e canna in mano. Perché “Videocracy” è proprio una cazzata che ti fai anche delle domande, su tutte: “ma questa roba davvero è andata al Festival di Venezia”. O anche: “ma hanno parlato per settimane tutti di questo coso qui?”. Come se dentro ci fossero dei fatti, dell’informazione, dell’opinione interessante, oltre che interessata. Invece no: prendi una singola puntata scialba di “Blob” e avrai nei primi 60 secondi quanto “Videocracy” non riesce a fare in un’ora e mezza (o giù di lì).