Alla conferenza di apertura del suo Tokyo Game Show, Sony ha dato al Giappone quel che crede che il Giappone stia cercando, probabilmente a ragione. Pochi dettagli su nuovi progetti, qualche dato e poi tutto lo spazio del palco e delle cuffie-con-traduzione alla bacchetta magica. Chiamatela Wand, Magic Controller, Bacchetta di Creamy Mamy, tanto è sempre quel finto microfono col naso da pagliaccio di ghiaccio che si illumina.
Digital delivery omnicomprensivo? Troppo presto. Yoichi Wada, grande uomo diavolo di Square Enix, ha tenuto a battesimo un promettente Tokyo Game Show rivolgendosi in particolar modo ai suoi colleghi, compagni ed eventualmente rivali nell’industria, più che ai giocatori. Nel discorso di apertura dedicato allo “stato delle cose”, Wada-san appoggia spesso e volentieri la mano sull’interno giacca, tasta il portafogli e capisce che qualcosa non torna.
“Non esiste ancora un mercato pronto a supportare (e a giustificare quindi, nda) la distribuzione digitale di giochi di alto profilo”, ovvero “è impensabile che i giocatori spendano 59 dollari per un videogioco da scaricare”. Giusto, anche perché ci sarebbe sempre quella faccenda del prezzo che andrebbe (e non di poco) abbassato nel momento in cui si taglia fuori una significativa fetta di spese (stampa e distribuzione su tre mercati, perlomeno).
Continua Wada: “il prossimo passo per il settore è immaginare nuove metodologie da applicare ai prezzi e ai sistemi di vendita”, altro che sistemi di controllo sensibili al movimento. Aprendo, però, anche a una prospettiva più che intrigante: “qualche giocatore probabilmente preferirebbe spendere di meno per poter giocare in un periodo limitato” – insomma, l’instant-abbonamento. Che personalmente trovo più che eccitante, sempre a patto che il costo sia perlomeno vicino alla decenza, va da sé…
Spendere i soldi per il gusto di spendere dei soldi: deh! Quale ignobile deviazione ha corrotto questa società d’occidente d’oggigiorno? Ed è giusto lamentarsene, accusare il dramma dello shopping curativo, alla faccia dei bambini con le mosche. Ma così, anche se non vi pare. Soprattutto dopo aver selezionato la casella “videogiochi” tra le proprie passioni preferite.
“Pace, amore ed empatia”, questo chiedeva ai suoi seguaci e al mondo intero Kurt Cobain pochi minuti prima di togliersi la vita, nel 1994. Amore, che non è certo quello dimostrato dall’ex moglie Courtney attraverso gli “strilli” sdegnati affidati a Twitter. Love di nome, non di fatto. In una serie di attacchi più che sgrammaticati (da far invidia a “Io speriamo che me la cavo”), l’attrice-musicista ha promesso vendetta nei confronti di Activision, il colosso americano del settore videogiochi responsabile della serie Guitar Hero. La colpa? Aver mancato di rispetto e ampiamente oltrepassato i limiti del buongusto nello sfruttamento dell’immagine, o meglio dell’icona, di Kurt Cobain all’interno di Guitar Hero 5, l’ultima edizione del videogioco già disponibile anche in Italia.
I bei giochi di piattaforme di Traveller’s Tales, bell’epoca. Ricordarseli tutti, uno per uno, non è esattamente impresa per enciclopedici del videogioco, dato che non ce n’è nemmeno mezzo (no, Puggsy non vale). A invertire la tendenza non fu di certo Mickey Mania, una delle ultime pubblicazioni di Sony Imagesoft, allora più alle prese con le e-mail interne dal soggetto più che comprensibile: “PlayStation: come spaccare il culo a tutti quegli altri!!!1!1”.
Un certo revisionismo storico, o perlomeno la tendenza a usare degli strambi occhiali dell’amore, vuole Mickey Mania come il primo “capolavoro” di David Jaffe. No, il padroncino di God of War non aveva poi avuto chissà quale potere decisionale sulla realizzazione del gioco ispirato a Topolino, se è vero che figura semplicemente come “designer” tra le fila proprio di Sony Imagesoft. Non certo quale producer, né tantomeno timoniere del team inglese Traveller’s Tales.
“Esperienza audiovisiva: quante volte hanno provato a vendervi un gioco come tale? Va di moda, piace al giocatore che ne sa, quello che non si “beve” il solito FPS, la solita avventura all’acqua di rose o, figurarsi!, l’ennesimo attacco di Nintendo al cuore dei suoi fan storici. Di esperienze audiovisive degne di potersi fregiare di un titolo tanto altisonante ce ne sono state, e di ottime, e ce ne saranno. Oggi questo particolare parco titoli si arricchisce di un esponente d’eccezione, quello che forse non ti aspetti: The Beatles: Rock Band. Un’esperienza audiovisiva, per davvero, che non nasce nel garage di qualche illuminato sviluppatore “indie” o nel cubicolo-con-giaciglio di uno sviluppatore giapponese strafatto di acidi elettronici. Un vero e proprio insulto alla coscienza collettiva dei giocatori dal palato esigente, perché naturalmente The Beatles: Rock Band è marchiato MTV Games ed Electronic Arts (che ne cura solo la distribuzione fisica, ok, ma vale lo stesso). Insomma: gli archetipi del colosso “malvagio”, per quanto appena appena scalfiti dall’attuale strapotere della “Nuova Cattivona”: Activision Blizzard. Ma stiamo divagando…”
Se ultimamente avete notato una qualche esitazione nel raccomandarvi videogiochi sullo sport preferito dagli uomini (il football, what did you expect?), ebbene è tutta colpa di questo incomparabile, consegnato alla storia, immarcescibile, inattaccabile dagli scettici, fuori dalla logica temporale, al di là del bene e del male (ok, mi fermo) Sensible Soccer!
C’è gente che dice di saper programmare e per dimostrarlo fa le peggio minchionate inutili da geek anni ’80 per spegnere le luci del bagno quando il gatto si lecca le zampe vicino al mouse. Poi, invece, c’è gente che mette a frutto il proprio ingegno per rendere il mondo un posto migliore: è il caso di Ben Firshman. Il BuonBen ha difatti assemblato un simpatico emulatore del NES in javascript. Cioé, insomma: ti colleghi al suo sito, scegli il gioco e smetti di lavorare.
Ci sono dei limiti, anche se davvero robetta: per goderselo al meglio è consigliato Google Chrome e attualmente la lista delle ROM è limitata (ma c’è roba tipo Super Mario Bros, Tetris, MegaMan, Contra, The Legend of Zelda II… sì, quello inutile). Correre, che Nintendo lo farà brillare entro sei minuti (invece di sfruttarne la tecnologia per un po’ di amore extra).
Un appuntamento, quello dei Fenomeni parastatali, che si fa ogni giorno più intrigante. Dico davvero. Prendete, per fare un esempio, il bell’oggettino misterioso di oggi: Jillian Michaels Fitness Ultimate 2010. E’ o non è un punto d’arrivo dell’ondata FitnessQualcosa che ha seguito Wii Fit? Col suo modello poligonale in vero legno massello e le ambientazioni che paiono veri e propri fondali da epoca 2D, oltretutto stilisticamente ripresi dalle cartoline trash degli anni ’80, il “gioco” prodotto da Majesco e sviluppato da NonRicordoIlNome (ma comunque gente che non ha fatto roba interessante) è davvero un piccolo campioncino di qualunquismo-Wii.
Il comunicato stampa ci tiene a sottolineare che trattasi di seguito di un robo che ha venduto 600.000 copie: Google è troppo lontano per star qui a sbattermi nel tentativo di scoprire se sia o meno vero. Naturalmente tutto lo studio di design ruota attorno alle tette marmoree (come tutto il resto, purtroppo) della nostra Jillian. Altro che l’isola di Gilligan: l’isola di Jillian.