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Eddie, Jackson e la Lina

Pronto? C'è mica in casa la Lina?
Pronto? C'è mica in casa la Lina?

Su Sky Cinema Hits stanno dando “48 ore”. Nel mentre in cui provo a ricollegare il Saturn per vedere se la raccolta di Parodius è ancora splendida come un tempo (sì), mi godo un po’ di dialoghi di quelli fatti bene. Parlando delle prestazioni di Eddie Murphy, appena uscito da una sessione sudata con una ragazza, Nick Nolte chiede lumi sull’esito della faccenda. E Muprhy risponde: “sono stato bravo, dovrebbero darmi l’Oscar per il cazzo”. Che grande battuta cialtrona. Il piccolo Eddie è un Michael Jackson a cui sta andando meglio*, perché nessuno lo ha accusato di aver palpeggiato un bambino (per quanto ne so) e perché è ancora nero e non rischia la fossa da un giorno all’altro. Ma la parabola è più o meno quella: da star totale a mestizia devastante. Murphy ha anche avuto i suoi tre minuti di rilancio con “Dreamgirls”, ampiamente buttati nel water con “Norbit” o come si chiamava… una di quelle mezza porcate lì. Però i suoi film continuano a passare, mentre fino a un mese fa sentire alla radio “Billi Jean” era utopia.
L’Oscar di cui sopra, perlomeno, è una gran cosa. Al contrario delle perle di Lina Sotis sul Corriere della Sera, che in due giorni riesce a infilare una doppietta di classe come non le riusciva da tempo.

Venerdì 10 luglio:

Sarkozy non si alza per la Merkel. Carlà, tu che sei così bella, spiega al maritino che un gentiluomo si alza sempre davanti a una signora. E’ un segno di educazione, ma anche di virilità.

Sabato 11 luglio:

Spiace proprio che un’italiana sia l’unica first lady che all’Aquila è stata definita snob. Carlà, com’era più bello se lei indossava quell’elemtto con tutte le altre.

Raccapricciante come la miglior copertina di Cattivik! Qui Lina, là la grammatica, molto più in giù la decenza di evitare battute di second’ordine.

* e d’altronde il legame è anche ufficializzato dalla partecipazione di Eddie Murphy al video di Jackson “Remember the Time”, nella parte del faraone. Era il 1992.

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Giornate Variopinto

Mio fratello è figlio unico

Nel Natale del 1995 l'incontro storico tra Nirvana e U2.
Nel Natale del 1995 l'incontro storico tra Nirvana e U2.

L’enigmista: cosa ci fai con un box doppio se la rampa per arrivarci è talmente ripida che la mia amata Civic d’annata ci ha già lasciato giù una marmitta? In due anni le ipotesi vagliate sono state tante, all’incirca due: lo lascio così com’è + prima o poi ci farò qualcosa. Bene, manca la materia prima (i soldi) per comprare un cabinato doppio di Out Runners e tramutarla in sala giochi privata. Non ho nemmeno portato da Merate il vecchio mobilettone basso e lungo, moquettato e così anni ’70 che avrebbe rappresentato un discreto punto di partenza per trasformare la zona nel paradiso del retro-giocatore. Con un problema basilare: tutte le vecchie console avrebbero raccolto con precisione ed efficacia quintali di polvere e foglie secche ogni giorno.
Perlomeno l’ho ripulito, ovvero ho spostato una quindicina di scatoloni di vecchie riviste di videogiochi e fumetti da lì alla cantina. Appallottolato in un angolo un mezzo quintale di foglie secche, mangiato ragnatele a sufficienza da poter saltare la cena e imbattuto in un discreto numero di Smemorande liceali. Che è sempre una cosa da non fare. Nel mezzo ho però ritrovato una cartolina che nei miei ricordi era solo un biglietto di Natale. E non una cartolina-biglietto. Ricordavo la citazione (“it’s no secret that a friend/is someone who lets you help/…/they say a secret is something/you tell one another person/so I’m telling you… child” – “The Fly”, U2), ma non che fosse una cartolina e che quindi avesse un fronte: che è poi una delle più famose foto dei Nirvana. Era dedicata al Natale 1995 e firmata da mio fratello, che nello spazio dell’indirizzo ha avuto anche la buona creanza di indicare “Seattle” come residenza del sottoscritto. Solo ora colgo quanto meschina fosse la presa in giro, evidentemente impossibile da cogliere al volo per un giovane, illuso, che aveva scoperto da circa un anno il grande rock’n rock. Gente orrenda.
Ma comunque: cosa cacchio ci faccio con questo santissimo boxone doppio abbastanza sul gigante? No, “cambia auto” non è una strada attualmente percorribile.

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Variopinto

Product Placement: Panasonic Viera PX 70

Panasonic: l'eccellenza da sempre.
Panasonic: l'eccellenza da sempre.

Zave utilizza un televisore al plasma da 42″ Panasonic Viera PX 70 per vedere Sky (mai sotto il 110), i dvd upscalati e i Blu-ray con la PS3 e per giocare con le altre console. Panasonic: qualità, onestà, ampio parcheggio.

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Musica Variopinto

Pop Machine

Sotto terra soldi facili.
Sotto terra soldi facili.

I dati sono fuori. La settimana che si è chiusa domenica scorsa è stata scandita da Nielsen Soundscan che ha decretato l’unico verdetto decretabile: il dominio non solo incontrastato, ma puranco da record di Michael Jackson nella categoria “Billboard’s Top Pop Catalog Albums”. Nove posizioni su dieci, otto a nome di Jackson, una per l’allegra combriccola dei Jackson Five. La domanda retorica più retorica del mondo della musica, che si era posto anche Zio Lampadina Corgan (“If I were dead/would my records sell?” – “Heavy Metal Machine”, 2000), ha avuto la solita risposta.

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Checatering, checatering!

Juventus - Real Madrid: 2-0 (09/03/2005)
Juventus - Real Madrid: 2-0 (09/03/2005)

Sony Computer Entertainment Europe (SCEE) oggi ha annunciato di aver esteso fino al 2012 l’accordo di sponsorizzazione con la UEFA per la UEFA Champions League e la UEFA Super Cup (Super Coppa Europea, ndtZ!) nel 2009, 2010 e 2011“. Poi blablabla, siamo coinvolti nella faccenda da nove anni, blabla, il football è nel nostro DNA da molto tempo, blabla. Bla. Che mestizia. In altri tempi sarebbe stata una delle notizie dell’anno: scontata, ma più che benvenuta. Gli altri tempi erano quelli che facevano piovere in redazione biglietti per le partite di Champions League. Dopo il cambio, le cose sono andate meno bene. Complice anche l’assenza del giovane Simon in zona cannone-spara-tagliandi omaggio, i biglietti sono semplicemente spariti. Un po’ lo scazzo. Un po’ l’essere crollati nelle classifiche dei PR (suppongo). Un po’ la vita che va via via peggiorando perché sennò cosa ho ascoltato “Faith” e “Seventeen Seconds” a fare?
Di tutti i privilegi, in realta molto relativi, di cui ho goduto in tredici anni di onorabilissima attività para-giornalistica, il biglietto gratuito per la partita di Champions era il momento di maggior sfregio verso il “poveraccio che se lo deve pagare”. Momenti belli, brutti, noiosi, strepitosi, medi. Ma, in generale, da acchiappare al volo: la strada quasi sempre sgombra tra Milano e Torino per arrivare al Delle Alpi; l’impareggiabile catering pre-partita e le torte + pasticcini a metà incontro; i posti in tribuna lussuosa assolutamente da stropicciarsi gli occhi; un paio di volte pure il parcheggio privato. Cose belle, ma davvero belle. Entrare nella suddetta zona catering e leggere i monitor interni della UEFA su cui scorrono le formazioni, con le discussioni dell’ultimo secondo a base di Patriarca. Il viaggio con la musica che ogni tanto andava anche data in gestione al Patriarca di cui sopra, che grazie al cielo aveva già perso le abitudini discotecare pasticcate degli ultimi anni ’90. Il rumore dello stadio e le luci. Il rombo del pubblico. Il riscaldamento con “minchia Pavel, grande Pavel!”. La partita col Bruges leggendo il giornale e fischiando alla curvettina belga sopra di noi che osava seguire la partita più noiosa del mondo. Gol di Del Piero. Di testa. Ancora state lì a rompere? Andate a casa dai, che è pure lunga. I soliti ottavi o quarti in cui si usciva giocando male, ma male, ma maaaaale. La partita in cui ho portato mio padre, che ancora oggi ci vado fiero e poi ho mandato una mail a Simon per ringraziarlo, col cuore in mano. La partita: LA partita. Juventus-Real Madrid, quella del gol di Zalayeta. Quella con decine di migliaia di persone che salutano Ronaldo (“gordito!”). Quella che c’era anche Ualone, con il cappello da pescatore, zitto e un po’ incazzato seduto mentre tutto lo stadio (per l’occasione, più unica che rara, stracolmo) si alza e grida. Una cosa che se non ci sei stato, non lo sai. Poi l’ultima, quella con l’Arsenal che andrà a perdere in finale col Barcellona (2006), con Nedved che si fa espellere quando finalmente si stava iniziando a fare qualcosa. E con me e Luca che facciamo il Grande Gesto (GG), ci alziamo per andarcene prima. Usciamo a sedici secondi dalla fine, quindi non è che fosse ‘sta grande presa di posizione, ma vabbé. Poi la B, poi il cambio, poi la mestizia. Poi più nulla.
Ma è stato bellissimo finché è durato.

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Il pasticciaccio brutto di Facchetti e del Corriere

Fabio Cannavaro, perplesso, passa oltre.
Fabio Cannavaro, perplesso, passa oltre.

Il Corriere della Sera è ufficialmente l’organo stampa ufficiale dell’Internazionale Football Club. E’ l’unica evidente motivazione che può giustificare una “spalla” di commento pubblicata oggi nella sezione sportiva e firmata Gianfelice Facchetti, figlio di cotanto padre. L’uso comune vuole che, quando a scrivere sia un “invitato speciale”, un non-giornalista del Corriere insomma, due righe ricordino al lettore il perché e il percome della celebre firma. Così non avviene oggi, quindi rimane l’unica ipotesi che Facchetti Jr. sia effettivamente inserito nell’organigramma di via Solferino, evidentemente per distribuire comunicati stampa ufficiali marchiati di nerazzurro. Nel migliaio di caratteri odierni il Facchetti si lancia in un’accorata accusa alle parole di Fabio Cannavaro, capitano azzurro e neo-ri-acquisto juventino, che nei giorni scorsi ha ricordato di aver vinto due scudetti con i bianconeri, puntando quindi al numero 30 della società torinese. Le parole di Facchetti sono gentili e rispettose, non prendono posizione, né fanno intuire una benché minima acidità di stomaco:

Cannavaro insiste in maniera patetica sulla storia dei 29 scudetti, in barba alla giustizia sportiva. Lo fa senza ritegno, senza che nessuno dei vertici federali gli faccia presente quel che è stato e che il ruolo che oggi riveste comporta responsabilità

Così, senza colpo ferire. Ci va giù di fioretto proprio. Prende il capitano, quello a cui l’altro Fabietto impartiva ordini di coreografia (“Alzala alta capitano!”) meno di tre anni fa, e lo definisce “patetico”, “senza ritegno”. O perlomeno così definisce le sue esternazioni. Il Corriere non si premura né di inserire la questione all’interno di un articolo di dibattito, sentendo l’altra campana o, mal che vada, ponendo Gianfelice di fronte alla di un giornalista della testata che possa trattare Facchetti come “uno che ha delle cose da dire a riguardo” e non “la posizione del nostro opinionista Facchetti”. Che, così, pare essere anche quella del giornale tutto. Facchetti non solo ha la miopia di non intuire la visione umana e sportiva di un calciatore che, sul campo, ha sputato l’anima per quei due campionati. Facchetti non solo grida alla lesa maestà dimenticando che suo padre è stato accusato da più fonti (succede proprio in questi giorni al processo in corso a Napoli che, oltretutto, pare deciso a smontare un bel po’ delle verissime verità di quello sportivo organizzato da un ex alta sfera interista) di aver intrattenuto rapporti privati con gli arbitri. Facchetti non solo dimentica che suo padre è stato inibito alla professione per essere entrato, senza autorizzazione, nello spogliatoio di un arbitro nel bel mezzo di una partita (ricorda qualcosa che ha a che fare con Moggi). Facchetti non solo fa finta di difendere l’inattaccabile lealtà sportiva di un club che ha giocato per delle stagioni con calciatori tesserati grazie a passaporti falsi (certificati). Facchetti non solo passa sotto silenzio il fatto che Cannavaro abbia sempre (sempre, inclusi i tre anni al Real) reclamato come propri quegli scudetti, ma che anche Zambrotta per dirne un altro che alla Juve non è più legato, ha detto le stesse identiche cose. Ma soprattutto… lo ha ribadito poche settimane fa Ibrahimovic. Uno che, guarda un po’, arriva all’Inter, gioca nell’Inter, fa vincere l’Inter (e solo grazie a quel “processo”). E che è tuttora nella rosa dell’Inter. Non solo il bon Gianfelice fa tutto questo, ma fa anche la voce grossa, batte i piedi e sembra un po’ il pazzo che grida da solo. Perché si può discutere di tutte le faccende di cui sopra, ma tutti i giocatori della Juventus di quegli anni hanno vinto quegli scudetti sul campo, correndo, legnando, segnando, sudando: umanamente è una convinzione inattaccabile. Tranne che per Mr. Magoo.

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Mi servono solo dei click

Questa è una foto di Zave. Zave Smith.
Questa è una foto di Zave. Zave Smith.

Ho cambiato momentaneamente il layout grafico (e non solo) del blog. Ve ne sarete accorti perché su Radio 24 si è sentito quello stridere di gomme e l’accartocciarsi lacerante di lamiere che precede un morbido vocione scandire placido: “Breaking News”. A me, che non apprezzo le lamiere accartocciate e che ogni volta che sono testimone audio della faccenda inizio a pensare all’eventualità che qualcuno abbia dipinto Berlusconi come quei panettoni anti-traffico->pinguini che secoli fa spopolavano a Milano… che dicevo? Sì. A me fa effetto, aver cambiato il layout intendo. Primo, perché layout è un termine che se fosse figo la metà sarebbe comunque il doppio di quanto posso permettermi vivendo a Osnago (LC). Secondo, perché il tema (ecco, appunto) grafico di prima mi piaceva e dava quel tono di “ma che minchia è ‘sto coso? Un blog?”. Terzo, perché una sera di dieci giorni fa il Toso ha espresso vivo disappunto proprio per l’impostazione grafica, il che certifica automaticamente quanto fosse stilisticamente azzeccata.
E perché ho cambiato il layout/tema? Ma per i soliti tentativi di sfruttare la dinamica blogosfera come un ammasso di cavie. Così come secoli addietro, in un blog ora fagocitato dal grande Nulla de “La Storia Infinita”, avevo astutamente infilato le gigantografie ginecologiche di Britney “Mutanda sopravvalutata” Spears per capire quali fossero i livelli di arrapamento casuale che avrebbero giovato al conta-click, più recentemente mi sono gettato sul Grande Fratello (con scarsi risultati) e sull’informazione spicciola sportiva. Figa, voyeurismo e calcio: un peccato che i mandolini siano passati di moda. I risultati sono stati tiepidi, roboanti come il ritorno in corsa dei Neri per Caso un anno fa (o forse cinque, magari dieci, troppo pochi comunque). Così si è scelta la strada della doppia colonna, con tanti hyperlink a portata di freccina e mazzi assortiti. Risultati tiepidi anche in questo caso, il che porta a un’unica conclusione: per arrivare ai centomila utenti unici cada-giorno che mi consentirebbero almeno di provare la strada della sponsorizzazione lurida, devo inventarmi qualcosa, scrivere come se sapessi scrivere e/o diventare uno di quelli che postano tutto il santo giorno disquisendo di vacche da Barbara D’Urso. A proposito di Barbara D’Urso, il sempre sfuggente Aldo Grasso l’ha recentemente etichettata come una nullità con le tette grosse, per un’intera pagina. Sono soddisfazioni.
Rimane, piuttosto, tutta da spiegare la magnetica attrazione che il mondo digitale prova per un paio di post presenti qua sopra. Il primo è quello dedicato a un simpatico concertino dell’allegra brigata Franz Ferdinand, costantemente in cima alla lista dei post più letti ogni santo, santissimo giorno. Il secondo è tutto incentrato sulla sottovalutata figura del gelato al pistacchio che, com’è o come non è, ha evidentemente iniziato la sua scalata verso un futuro fatto di gloria e coppette.

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Giornate Variopinto

Friday I’m in love

"Hold me like this for a hundred thousand million days"
"Hold me like this for a hundred thousand million days"

Non mi importa davvero se il lunedì è bigio
il martedì grigio e il mercoledì pure
di giovedì posso fingere che non mi interessi
perché è il venerdì che sono innamorato

Il lunedì posso anche ridurmi a uno straccio
il martedì e il mercoledì trascinarmi col cuore spezzato
giovedì… giovedì nemmeno capisco che sia cominciato,
perché è il venerdì che sono innamorato

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I nuovi eroi #9

Daniele Nava, lui ha preoccupazioni
Daniele Nava, lui ha preoccupazioni

Lunga giornata di aggiornamenti politici, ma solo perché siamo in vista del traguardone. E quindi si lanciano i botti finali, in un lancio di fuochi d’artificio come mai sono stati visti tra Berenziga di Sotto e Pampualonia al Lambro. Chiudiamo la giornata elettiva con i due “blocchi”, uno per parte, uno per ogni votazione. Daniele Nava lo abbiamo già visto e, mica troppo, apprezzato: è il candidato alla provincia per il Popolo delle Libertà. E il suo gruppetto alacre si è preoccupato di mollare nella cassetta delle lettere il resoconto del programma previsto in caso di vittoria scintillante. La bellezza di 12 pagine più le quattro di copertina! In ogni pagina, il Nostro con un’espressione vagamente da “vorrei morire, lentamente ma con una certa dose di dolore. Con degli spilli nelle orecchie, tipo”. Chi ha visto “Boris”, conosce l’abilità estrema di Stanis LaRochelle di inanellare a comando le sue tre o quattro espressioni tipiche (“stupito”, “contento”, “arrabbiato”, etc.). Be’, il Nava mi tira fuori delle performance non da meno. Tutta da sognare e imitare quella preoccupata con manina sotto al mento, “mumble mumble, Zio Peperone pare abbia bisogno del mio aiuto, mumble mumble”. Per il resto anche questo è un buon lavoro, con della cura grafica, un fondino per la testata di ogni facciata che si ripete ribaltato (ché mica ne facciamo due), tante parole al vento e la promessa di combattere “i clandestini e i criminali”. In quest’ordine eh, il che la dice lunga. Promosso o bocciato? Promosso tecnicamente, bocciato su tutto il resto.

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