Dopo Del Piero, dopo De Rossi: Giorgione “Giorgio” Chiellini. Il roccioso, greco-profilato e a tratti smemorato difensore-reinventato-centrale della peraltro splendida compagine bianconera accompagnerà Ronaldinho sulla copertina della versione italiana di FIFA 10. Un anno pienotto di testimonialanze per i già amabili omini zebrati.
Insomma, l’occasione ci è anche lieta per discutere del dentone magnetico: che è successo a Ronaldinho? Perché è schioppato? Evidentemente, a un certo punto, si è rotto. Ma dove? Come? Perché? E’ successo a Barcellona e nessuna ha avuto il coraggio di dirlo in giro agli amici della stampa e agli amici degli abbonamenti. Lo sapeva la società catalana, lo sapeva Tucanoide quando lo ha comprato. Gli unici a non saperlo, in via ufficiale, sono quelli che riempiono gli stadi e si fissano di fronte alla TV per sventolare allegri le loro sciarpe milanesi. Però è triste eh, oh. E’ triste eh. Oh.
Sì, non c’era molta voglia di post simili, ma era stato fatto per Antonio Del Piero, andava fatto anche per l’omino dalla corsa marmorizzata. Ah, gli Smashing Pumpkins (nella figura dell’unico Lampadina) han tirato fuori una canzone nuova. Si sente malissimo qua. Così, per allungare.
Categoria: Musica
Il problema è che non piove
Il fastidio di ascoltare un solo singolo, cioè una sola canzone. Perché se son stati capaci di mettere assieme solo un pezzo che mi piace, allora non ha molto senso tenerli in giro per iPod e così via. Uno di quei fastidi da integralista che rovinano giornate intere, però, come per tutte le regole, c’è l’eccezione. Che è “No Rain” dei Blind Melon. Sono sicuro che qualcosa di buono, nei pochi dischi disponibili con la formazione vera e propria (pre-schioppamento del Shannon Hoon) ci sia anche, ma non l’ho mai trovato. Però “No Rain” è talmente anni ’90… semplicemente anni ’90, con ancora un po’ di scorie degli ’80, una perfetta canzoncina radio-friendly, sorretta da quella voce che vorrebbe stare bene (essere “sano”), se non fosse che sa già che finirà male. Poi arriva anche la copertina del singolo, con il suo inzuppamento anni ’60 e l’occhio amorevole verso gli America o la Famiglia Bredford, il tutto sorretto dal video.
L’ho anche comprata nello store di Guitar Hero e chiunque abbia mai dato un’occhiata allo store di Guitar Hero sa che è il male digitalizzato, il che la dice lunga. “No Rain”, ci piace.
Info utili:
Frittelle robotiche
Tra gli elementi, le caratteristiche uniche e atrocemente assurde, che rendono imperdibili e amabili (teoricamente) i Daft Punk, c’è l’attenzione per la riservatezza. Non esistono foto e filmati del duo francese da secoli, da prima della pubblicazione di “Homework”, disco di debutto del 1996. Negli ultimi anni sono soliti presentarsi a concerti e trasmissioni (le poche/rare/uniche a cui partecipano) indossando il loro bell’elmetto da robot. Quello che li ha contraddistinti visivamente anche nel periodo “Discovery” e “Human After All”. Dicono che lo fanno perché a parlare dev’essere solo la musica, ed è perlomeno interessante e rispettabile come scelta.
La novità: da mesi si sa che i Daft Punk realizzeranno la colonna sonora di “Tron Legacy”, il film che funzionerà quale seguito ufficiale del classico degli anni ’80. Daft Punk + “Tron” = vittoria sicura. Fin qui nulla di male, se non che la creazione dell’apposita OST pare abbia messo in sospeso tutti i lavori sul nuovo disco del gruppo, e vabbé. Però poi viene fuori che il regista del film, Joseph Kosinski, abbia voluto ovviamente incontrare i due per discutere della direzione musicale del tutto e… e l’ha fatto in un locale di Los Angeles, organizzando una semplice colazione. Semplice, solo in teoria però, dato che i due si sono presentati anche in questo caso con l’elmetto robotico.
Insomma, inizia a farsi preoccupante la situazione mentale di Homem-Christo e Bangalter. Anche perché, come si chiedono i lettori di BrooklynVegan (magazine online che ha reso nota la faccenda), la domanda nasce spontanea: come diavolo avranno fatto a ingurgitare le frittelle?
I segreti di Carlotta
Fa più male a me che a voi. “Charlotte Sometimes” è nella mia peraltro inesistente Top Five di sempre dei Cure. Cioé, tipo che oh, levati, una delle loro migliori. Non si tocca. Mamma mia “Charlotte Sometimes”. Cioé non è neppure su nessun disco di inediti. Oh, eh, oh. E via andando. Quando l’anno scorso ho recuperato il singolo in formato 12″ a Londra, usatissimo e “over pressed” (o era da Amoeba?), avevo la barretta della fierezza a livelli stratowowsferici. Poi, in un bollente quanto vagamente inutile venerdì mattina, il fattaccio. Titillato dall’altra metà dell’ufficio vengo stimolato a (ri?)guardare il video della canzone, che trovate bello placido qua sopra. Traendone illuminazioni a ripetizione.
Suntone per chi non vuole leggere più di 140 caratteri sull’internet: “In questo post dico che il primo disco dei Foo Fighters non solo è il migliore, ma proprio è un’altra roba”.
Nel suo “La versione di Barney”, Mordecai Richler interpreta il vecchio e mezzo rincoglionito ebreo canadese Panofsky. Dimentica il nome di oggetti di uso comune, confonde le date e mescola a sua insaputa ricordi della gioventù. Io, nella mia Versione Panofsky, ricordo abbastanza chiaramente l’estate del 1995, in particolare un momento: in vacanza nei pressi di Golfo Aranci (Sardegna), frequentavo spesso e volentieri una peraltro malmessa edicola del porto. Primo: perché ero già, inconsapevolmente?, affamato di riviste e affascinato dalle stesse. Secondo: perché in zona non era rara la frequentazione di militari americani (d’istanza lì attorno), il che portava alla presenza di una nutrita gamma di pubblicazioni inglesi dedicate al grande mondo del rock’n roll. Insomma, compravo (o scroccavo) il New Musical Express, mi sciroppavo roba di Melody Maker o Kerrang! e adocchiavo senza vergogna anche le faccende italiane à la Metal Hammer. Insomma, ricordo abbastanza chiaramente di aver letto, in piedi e mezzo ipnotizzato, di un’anteprima del disco dei Foo Fighters. L’omonimo disco che avrebbe debuttato a brevissimo e di cui l’autore del pezzo aveva potuto ascoltare una versione completa: mancavano, però, i titoli delle canzoni. Quindi “Big Me” diventava “I Fell Into”, per dirne una. Eppure è impossibile che sia successo, perché il primo album del post-Nirvana per Dave Grohl nell’agosto del 1995 era già stato pubblicato. Non solo: lo avevo di già, dato che ho delle vere certezze (qui sì) su di una vacanza nel luglio dello stesso anno a Cannes a casa di un mio ex-compagno di classe. Lì mi sono presentato con il disco in mano, costringendolo a ripetuti ascolti e con dei repeat posizionati ad arte su “Good Grief” e “Alone + Easy Target”. Fast forward di un anno, perché ora sono sul balcone dell’appartamento a Vimodrone, durante una festa di compleanno di mio fratello (marzo) in cui si parla, con altra gente che non ha preso bene il buco in testa di Cobain, di quanto sorprendentemente buono sia il lavoro dell’ex batterista.
Salsa cancerogena pt. 1
Buone notizie! I Beastie Boys hanno iniziato a far circolare il primo singolo tratto da “Hot Sauce Committee Pt. 1”: si chiama “Too Many Rappers” e si ascolta con tutta la gioia del mondo proprio qua. Cattive notizie! MCA ha un cancro in zona gola. Robetta, tipo che non dovrebbe raggiungere Hendrix e gli altri. Però c’è e quindi il disco viene posposto a fine 2009 e le date (solo Nord Americane) del tour cancellate. Insomma, due belle palle.
La canzone: siamo totalmente dalle parti di “To The 5 Boroughs”, particolarmente incazzosa, come spesso succede destinata a un numero imprecisato di imitatori o giù da quelle parti. D’altronde è nel DNA dei gruppi yo yo yo sparlarsi contro, e lo fanno anche i granitici Beastie. Un bel ritmo comunque, ma non di quei pezzi col riffone o il campionamento geniale che ti permette di amarli incondizionatamente anche se non ci stai capendo una fava di nulla del testo. Insomma, un pezzo per la gente di Brooklyn. Che va anche bene. Però camminare balzelloni coi pantaloni bracaloni facendo bbbrutto a trent’anni in Stazione Garibaldi verrà più facile con “Too Many Rappers”.
Riflessivamente nel finale: la classe è comunque lasciar parlare la musica anche quando ci si potrebbe arrotolare fetali sugli attestati di stima e i “get well soon” che pioveranno (e sono già piovuti). Come dire: disco rimandato, tour in sospeso, tante pacche sulle spalle, ma la musica c’è ed è questa. Anche con l’aiutino del Nas.
Allora, è stata una serata pienissima. Ho recuperato uno dei classici film per cui pagare il biglietto al cinema anche no, ma se lo passano su Sky allora va bene. Tanto più se lo passano sul neonato Sky Cinema Hits HD: “Transformers”. Davvero uno splendido film del menga nella prima metà, con anche un bel ritmo non esagerato e un altrettanto buona vena ironica (tutta la faccenda della famiglia di Shea LeBoeuf è ottima). Poi, nella seconda parte, diventa un po’ il film che deve per forza infilarci la finta serietà dell’epica del robottone che allora mi commuovo che hanno fatto male alla mia Camaro che poi ci metto anche la moralina. Che vabbene che ovviamente è tutto da calare all’interno del film d’azione da pop corn King Size, però insomma… anche le mille citazioni a “more than meets the eye” poi stufano. Ma vabbene. Tolgo tanto di cappello di fronte a Megan Fox, come d’altronde ampiamente anticipato dal Surgo per secoli, quindi oh, nulla da dire.
Ma poi, finito il film, gustato anche il mini remix strumentale di “Doomsday Clock” verso la fine, è tempo di Internet. E il grande Intertron non ti lascia mai a piedi, soprattutto quando partorisce un male talmente grande da divenire un clamoroso caso di bene accidentale. Da teen-ager avrei gridato allo scandalo, ora ho la delusione vitale per accogliere a braccia aperte il più esplosivo dei demoralizzanti mash-up: Nirvana + Rick Astley. Ed è quello che riempie lo spazio qua sopra. Tremino le colonne portanti del pianeta, è tutto finito.
The Fixer (Pearl Jam)
[Edit: ora con più sondaggio!]
I Pearl Jam non vogliono fare singoli da secoli. Non facevano i video quando volevano fare i giovani che rifiutano il (Video) Star System di MTV. Giocavano a nascondersi con “Mankind” lanciato per non-lanciare “No Code”, poi altro nulla, con il solo ritorno a un effetto-singolo ai tempi della politica incazzata di “I Am Mine” e “Worldwide Suicide”, almeno in parte. Ora che Vedder è tutto un fiorire di sorrisi, brezza marina, tavola da surf e orsetti del cuore con la faccia di Obama, si torna al singolo che in meno di tre minuti dice un po’ poco. “The Fixer” è disponibile attraverso la pagina MySpace (argh!) del gruppo, che quindi non si dimostra sufficientemente amorevole da regalare 320kbps di qualità ai suoi fanz, come peraltro avrebbe potuto tranquillamente fare considerata la posizione che occupa.
“The Fixer” è il primo indizio che dovrebbe aiutare a fare luce sulla direzione presa dai Pearl Jam con il ritorno di Brendan O’ Brian alla produzione. E non è che però sia cambiato un granché rispetto al passato recente. La canzone ha un che di sixties pieni di fiorellini sbocciati, con tanta voglia di positivo perché son vivo, scivola via bene. Il problema è un po’ che scivola, invece di aggrapparsi. La voce del potenziale-martire-che-non-fu è fin troppo lieve e sorprendentemente (come già successo nell’omonimo album del 2006), puntata un po’ troppo in alto per le note che riesce a beccare oggi come oggi il nostro. Niente che davvero non vada bene. Tutto sommato “Backspacer” (20 settembre) potrebbe proprio essere una mezz’ora di gioia di vivere e crema abbronzante, speranze per il futuro e una band che passa in studio per godersela come vuole godersela in quel momento, quasi fosse un pretesto per sparpagliare in giro un’altra manciata di canzoni da suonare dal vivo, in quello che è un quasi tour perenne à la Bob Dylan. Pur con meno precisione e ubiquità del vecchio menestrello (in Europa ci passano poco e volentieri). Che farci con una “The Fixer” che ha anche la colpa di finire in fade-out? Due mesi per scoprirlo.*
La presentazione, da parte di MTV Games ed Harmonix, del progetto Rock Band Network è il punto di arriva e di partenza. L’esplosiva conseguenza di uno stato di fatto, ovvero della drammatica e affannata rincorsa del mondo delle etichette discografiche al mondo reale, quello vero, fuori, che gira e continua sempre più a sbattersene altamente dei negozi di dischi e dei relativi formati fisici. Appallottolati in posizione fetale nella crisi dell’industria da anni, i discografici “che ne sanno” hanno capito da tempo che i videogiochi musicali sono una delle due o tre vie da percorrere con tutte le scarpe e senza cravatta se si vuole tentare di sopravvivere con decenza. Una è iTunes, una è appunto quella a base di Les Paul di plasticaccia e poi ci sarà una qualche altra risorsa tutta digitale che sicuramente illuminerà la via a breve.