La fiducia paga, almeno sotto il profilo morale. Lo avevamo lasciato impegnato con poltrone dalla dubbia comodità, lo ritroviamo quanto mai a suo agio mentre stringe in mano la sua penna-semaforo, disegna sul retro del Corriere di Merate dei grossi mini pony con la faccia di Walter Fontana e lancia lo sguardo verso il futuro, sognante. Eccolo qua il “nuovo” Alessandro Pozzi, il braccio di quella mente che è Virginio Brivio. La prima segnalazione aveva fatto alzare sopraccigli come solo Carletto Nostro sapeva fare, ma ora… ora siamo alle strette finali. E alle strette finali il Pozzi tira fuori un depliant signorile. Via i font di dubbio gusto, via l’assenza strutturale di una qualsiasi forma di impaginazione/presentazione, via i perchè e dentro i perché. Rimane la giustificazione a bandiera, sempre ignobile, oggi come la prima volta. Ma fa nulla. Rimane un certo disallineamento tra i pallocchi della lista a pallocchi e le voci stesse della lista, ma fa nulla anche qua. Perché il Pozzi almeno becca la prima rete della sua giornata: dopo due o tre facciate perse a discorrere dell’importanza dell’ambiente, tira fuori dai calzoncini un foglietto stampato su carta riciclata! E’ il primo in zona, probabile che sia anche l’ultimo. Ma siamo già ai goccioloni agli occhi. Davvero nient’altro da segnalare: la punteggiatura è di qualità, le facce nelle foto tutto sommato potrebbero essere peggiori e quindi… quindi seria candidatura al voto del padrone del blog. Con commozione.
Autore: Zave
Orsetto for teh win
Hombre Lobo
Ovvero: come continuai a farmi crescere la barba, fino a diventare un uomo lupo. Gli Eels, sarebbe a dire E., hanno/ha annunciato il nuovo disco: “Hombre Lobo”. Lo hanno/ha fatto un paio di mesi fa, ma mi ero perso completamente la faccenda. Tanto meglio, dato che accorgendomene oggi sono a solo tre giorni scarsi dall’uscita (2 giugno) e già in zona “lo ascolto sul loro sito per intero”. Certo, la qualità non è sempre cristallina, ma avendo quella solita produzione mezza sospesa tra il lo-fi e il mica lo-fi, non si perde poi moltissimo. E “Hombre Lobo” pare proprio il seguito spirituale di “Souljacker”, il disco del 2001 che è poi anche il mio preferito di tutta la carriera delle anguille, probabilmente assieme all’immancabile “Beautiful Freak”. Rozzo e innamorato, tutto ruvido e peloso, con un cuore da cane cuccioloso, Hombre Lobo ambisce a entrare con violenza nella Top Ten dei migliori dischi del 2009, già piuttosto nutrita oltretutto. Difficile, invece, che ci rientri “Battle for the Sun”, il nuovo dei Placebo. Ma di quello si parlerà in un futuro post. L’occasione mi è lieta per incollare un post pubblicato poco più di un anno fa sul vecchio blog. Esatto, è il momento del riciccio ufficiale.
“Ci sono dischi che ti fanno sentire intelligente e acuto, uno che di musica ne sa. Per dirne uno: sono convinto che il mondo disprezzi “Souljacker” degli Eels, ma magari no. L’importante è che sia un gran bell’ellepì e che oggi giri vorticosamente (si fa per dire, di .mp3 trattasi). Con quel barbone un po’ così e un sottotitolo stupido ma graffiante, “Souljacker” rappresenta il punto più alto della produzione di Mr. E, assieme all’immancabile “Beatuiful Freak” e ovviamente a mio insindacabile parere. Dopo e poco prima ci son stati lavori pretenziosi, anche troppo, interessanti ma sempre un po’ dispersivi, verbosi. Intriganti, ma sempre un po’ sfocati. Camminando bassissimo, rasente terra, “Souljacker” vince bene e vince facile solo a un primo ascolto, perché comunque di roba per cui ammazzarsi di seghe ce n’è: tra xilofoni, percussioni a cazzo su un secchio della spazzatura, sovraincisioni, violini teneroni e lancinanti…
L’amore arriva anche da due ricordi precisi, entrambi coccolosi. Il primo mi vede camminare placido con il discman in zona Duomo. Era novembre, credo, il disco era appena uscito e ciondolavo inutilmente tra la neonata FNAC (quasi neonata, insomma), Virgin (ancora in vita) e Porta Venezia. Nel mentre qualche telefonata di un troione da competizione che comunque ha avuto qualche mese di attenzione (e anche altro, ok). Però era una bella giornata, una sera luminosa d’inverno, di quelle che se ci giri un film a New York fai i sodli, ma che in zona Mediolanum fa un po’ meno scena.
L’altro ricordo: il tour degli Eels a supporto del disco. Ho tenuto per un paio d’anni buoni una maglietta nell’armadio (“Man Driving / Band Touring”), un po’ piccola per il sottoscritto, anche perché era dell’ex che aveva partecipato attivamente al concerto. Allora ancora poco ex e molto presente. Il concerto verrà ricordato per il pubblico più fastidiosamente inutile della storia dei concerti a cui abbia assistito. Fermi, zitti, muti, congelati… su un disco come “Souljacker”. Bisogna davvero essere dei milanesotti protofighetti del cazzo. Mr. E taglia la voce alla chitarra, prende il microfono e chiede placido: “che giorno è? Sabato? Si può fare rock’n roll il sabato vero?”, evidentemente stizzito dalla noia mortale. A calci, certa gente va presa a calci!”
Tuffi annoiosi
Che giornata di scazzo estremo. E dire che avrei anche poco da fare, giusto Guitar Hero Metallica, di cui ora scrivo due pagine e saluti. Ma che scazzo. Non solo perché la barra della pennata della chitarra di World Tour (primo strumento che compro nella mia vita di semi appassionato di giochi musicali) ha deciso di semi-rompersi, così, perché si sentiva troppo prolifica. Ma anche perché c’è dello scazzo strutturale un po’ incomprensibile. Che palle. Però siamo arrivati a un’uscita decente (256kbps) dell’ultimo della Dave Matthews Band. La copertina è carina, perlomeno, e il disco in sé non è una colata lavica di nulla come quello che lo ha preceduto nel 2004. Anzi, c’è già un bel pezzo vecchio stile (“Dive In”). O magari anche due o tre. C’è anche l’apertura e la chiusura con pezzi del Signor LeRoi, come già il Feiez di dieci anni fa. Che scazzo.
Oltre il proprio cielo
Quando sono andato a prenderlo era buio. Un buio pomeriggio tardo autunnale nel 1998, lungo la stradina poco illuminata che fa da controviale nascosto alla Padana Superiore. Eravamo in tre, in bicicletta se non ricordo male: io, l’inesperto e l’allora interessante Valentina. Niente Mariposa o centro Milano, quella volta, ma solo Città Mercato, la prima d’Italia (quella di Vimodrone), quindi roba che contava. Anche al ritorno era buio. Ed è rimasto buio, tutto il tempo, a ogni ascolto di “Up” negli undici anni che sono seguiti. Dal primo vero disco del gruppo di Athens post-Berry non sapevo cosa aspettarmi, né immaginavo che sarebbe finita così, ma ai tempi ero decisamente meno intossicato di musica, quindi si comprava e si ascoltava senza farci sopra chissà quali voli pindarici (o seghe bimani, se la poesia non è nelle vostre corde).
Dopo l’esplosione amarognola di “Automatic for the People” e la voglia di rock ruvido di “Monster” era stato il momento dello strepitoso “New Adventures in Hi-Fi”, un disco suonato e registrato per la stragrande maggioranza del tempo “dal vivo”. Con l’intero gruppo abile nel ritagliarsi spazi durante il tour del disco del 1994. All’uscita delle avventure in lo-fi, Berry se ne era già andato, tutto preso dalla sua voglia di mantenersi vivo, ma comunque presente nel disco. Per “Up” i R.E.M. dovevano reinventarsi da zero, o qualcosa di molto simile. E lo fecero con un album che era l’esatta negazione del suo predecente: tutta potenza “da gruppo” quello (come molte delle prime pubblicazioni), tutto studio questo. Nuovi pedali per Buck, che si inventa un suono caratteristico per quei nuovi anni della band e soprattutto attenzione certosina in fase di produzione, con sovra incisioni, riff e accenni spediti in loop e pezzi costruiti come il significativo puzzle di una pozzanghera. In cui tutto è uguale, ma ogni minuscolo elemento in realtà ha una potenza innegabile. “Up” continua a vivere senza mai accelerare troppo forte, senza mai fermarsi davvero, continuando a riprendersi e a citarsi addosso. Una lunga cavalcata di disillusione notturna, lontana dalle sfuriate post-grunge di “Monster” e dai palchi ridenti di “New Adventures in Hi-Fi”. “Up” è un disco strepitoso, capace di cambiare più volte anima ma mantenendo inalterato l’umore. Un disco soprattutto eccezionale sul lungo periodo, come quella sera in cui le inutili sessioni di gioco al cialtronissimo Darius-G per PlayStation (dono di Ualone, conosciuto da poco all’epoca) mi accompagnarono alla scoperta di “Diminshed”. Poi di “Parakeet”, poi di “Falls to Climb”, fino a cogliere in tutta la sua magnificenza la seconda, splendida, metà del cielo crepuscolare del disco. Una seconda metà avvolgente come solo le serate autunnali riescono a essere, con suoni elettrici che riescono anche a farsi allucinati e la suddetta produzione che non diventa mai “troppa”, ma solamente e perfettamente giusta. Lo stesso equilibrio che il disco successivo, “Reveal”, proverà a ripetere, questa volta alla luce del sole. Senza riuscirci.
R.E.M. – Up
Warner Bros – 60 minuti
Queste dovete ascoltarle: Hope, Walk Unafraid, Diminished, Falls to Climb
Zavalutazione: ♥♥♥♥♥
I nuovi eroi #6
Ieri notte insonne, mi sono addormentato alle 5 e un quarto, dopo aver seguito “21” su Sky HD (Kevin Spacey che fa il genio dallo sguardo un po’ lurido e fregone, già visto) e letteralmente inveito contro gli orrendi uccellini che hanno ben pensato di stracciare gli zebedei dalle 4 e mezza in avanti. La giornata, per fortuna, è stata più tranquilla: tre pagine prodotte, un po’ di divano e la fregatura finale, la bastonata alla noce del capocollo della partita di calcetto. La prima dopo enne mesi. Con ‘sto caldo. Quindi ad Antonio Rossi si dedica poco spazio. Anche perché non ha davvero uno straccio di idea, un grammo di personalità, un’ombra di spunto geniale. Almeno questo è quanto trasuda dal foglio infilato per bene in una busta affrancata a tariffa ridotta (paghiamo noi, come sempre, “governo ladro” etc.), tutto preso ad annunciare la discesa in campo con meno remo e canotta e più amore per il proprio territorio del campioncione nazionale di (canoa, K2, Kilimangiaro, boa in cipresso battuto, non ricordo). Font senza anima, messaggio inesistente, che si prende solo la briga di segnalare la rielezione del Signor Rossi alla Giunta nazionale (sic) del CONI, “come avrete appreso dalla stampa”. Ohum, sì. Okkeeei. Niente oh, comunque passava di qua, si era fermato a comprare un’orzata, tira giù due autografi con una Papermate e ricorda che si candida all’assessorato allo sport nella squadra di Daniele Nava (Popolo della Libertà). Un depliant-one talmente insulso da sperare in una futura riedizione con saracche nella punteggiatura. Almeno quelle.
I nuovi eroi #5
Piccola digressione nel mondo delle elezioni provinciali. Finora ci siamo concentrati, con indiscutibile successo, nella dimensione comunale della faccenda, ma il 6 e 7 giugno si vota anche per le provinciali (e per mandare al parlamento europeo La Russa). Il secondo a presentarsi alle porte della ZavCaverna sopraelevata è un Brivio. Un altro Brivio, due palle. Si chiama Virginio Brivio e ha le idee chiarissime: altre che foto imbalsamate, il foglietto del Virginio si lancia subito in voli cromatici pindarici, con verde, arancione e addirittura (ho le palpitazioni)… dei gradient! Per sul serio. Non è nemmeno quel che colpisce, basta riprendersi coi sali, per accorgersi che lì, proprio lì, nient’altro che lì (in prima pagina) c’è il nostro candidato che con un minuscolo inaffiatoio prova a inumidire di vita politica un gigantesco bicchierone con degli strepitosi fiori in cartongesso, rappresentanti le zone della provincia lecchese. Sturbo allo stato brado. Le facciate interne non sono meno generose in quanto a pacchianeria, con il Nostro appoggiato a una cassa “Made in provincia di Lecco”, intento a tenere in mano un bel autobussino di latta e metallo, una lavagna-finta 24 ore con deliziose cartoline impestate di noia atavica e… e, uhm, un… un transmolecolatore tachionico. Tipo la Cronovela di PK, si suppone. Tutto bello, bellissimo, strepitosamente giovane! Anche le parole sono belle, bellissime, strepitosamente già lette altre sei mila volte, ma perlomeno 100% errori-free. Cosa non va? Perché non si è già assicurato al 100% il preziosissimo voto? Primo: il Virginio mi sta su ogni pagina con la stessa faccia di legno. Quel sorriso che la maestra di danza di Matt Groening assicurava con uno sparapuntine ad altezza zigomi alle bambine delle elementari. Poi: tanto ciarlare di ecocompatibilità e poi nemmeno questo volantino mi arriva su carta riciclata. Per la cronaca: Virginio Brivio si presenta con la sua bella lista “Azione Positiva”, affiliata all’Italia dei Valori, Sinistra & Libertà e PD.
P.S. mea culpa! Solo ora mi accorgo che il Brivio mi è familiare non solo perché è il cognome base della zona, ma perché in effetti aveva già lanciato in avanscoperta il suo Alessandro Pozzi che, con la sua bella sedia a mo’ di foca, aveva tenuto a battesimo la splendida rubrichetta che vanta ben più dei quaranta lettori di quel povero pirla di Manzoni.
I nuovi eroi #4
Aggiornamento con ritardo, e quindi particolarmente copioso. Perché nella casella delle lettere si sono accalcati i nuovi eroi, depliant dedicati ai futuri dirigenti di questo paese rifulgente di saggezza e potenzialità. Dopo le sguaiate & spunteggiate accuse della destra nei confronti del misterioso Strina, finalmente il sipario viene alzato. E’ lo stesso “Strina, Paolo” che viene a presentarsi forte del suo progettOsnago. Partiamo forte, qui c’è della ricerca (cfr. scansione), sia grafica che d’inventiva lessicale. Certo, quell’abbozzo di finto Keith Haring che non si nega a nessuno è davvero talmente vecchio e tanto banale da non riuscire neanche a diventare kitsch, ma fa niente. Sorvoliamo anche sulle facce tutte promettenti, come quella dalle cromie zombate del Dott. Strina stesso, come quella da guardia carceraria delle SS di Francesco Arlati o da banchiere strozzino di Angelo Tiengo. progettOsnago si presenta comunque bene: niente bestemmie grammaticali e ortografiche, tutto all’insegna del “la forza tranquilla che unisce”. Il retro del foglietto colorone regala altre perle un tanto al chilo con un ispiratissimo “progettiAmo osnago”. Quel che segue è una serie di impegni piuttosto blandi, tipicamente sinistrorsi se non che… se non che qui non c’è il simbolo di alcun partito. Nulla di nulla. progettOsnago è una lista civica? Una loggia massonica mal travestita? Il consiglio comunale di Paperopoli in vacanza premio? Qualunque sia la verità: queste due facciate battono alla grande le quattro del PDL e Lega per Osnago dell’ultima puntata. Santi Licheri: aggiorna la seduta.
Il pixel è nudo
C’è gente a cui piace essere sincera: Bit.Trip.Beat dice tutto nello strepitoso titolo. Con i punti a creare un finto richiamo elettronico, una condizione binaria e forse a dare ritmo. Lo stesso ritmo promesso (e mantenuto) da quel Beat finale, arricchito dallo stile scodinzolato dal Bit e perpetuato in un lungo Trip, in senso figurato e meno figurato. Lo ha messo in piedi Aksys Games, chiedendone il permesso ai ragazzi di Gaijin e lo trovate al modico prezzo di 6 Euro sugli scaffali elettronici del Wii Shop. Bit.Trip.Beat è Arkanoid rivisto e reso divertente, perché chiariamo subito: Arkanoid era una mostruosa rottura di palle, come conferma ampiamente la riedizione voluta da Taito e lanciata poche settimane fa in zona Xbox 360. Invece Bit.Trip.Beat è intelligente, malato, sagace, fulminato in testa, colorato e tossico: nel (molto) bene e nel (poco) male. Il poco male è un male però necessario, quello del sistema di controllo appoggiato all’utilizzo in senso orizzontale del telecomando Wii, che va fatto ruotare sul suo asse icchese per muovere verso l’alto e il basso la stanghetta su schermo, impegnata a ricacciare indietro le orde di pixel nudi e crudi lanciati a ritmo da destra verso sinistra. Ecco, funziona, e funziona bene, solo che è un controllo nervoso e irascibile, capace di rilevare ogni millesimo di inclinazione e con giornate afose come queste e giochi crudeli e bucasinapsi come Bit.Trip.Beat ti ritrovi alla fine con una spugna di sudore al posto della mani. Il telecomando si è sciolto nella presa. Però va bene così, perché nel mezzo è tutto un danzare di quadratini, con coreografie improvvisate o delicatamente organizzate, esplosioni e accelerazioni. Finti rallentamenti e innumerevoli ballerini tutti presi a ridurre in liquido quel poco che rimane di buono in testa dopo i primi cinque o dieci minuti di gioco. Bit.Trip.Beat: farsi male per volersi bene.
Zavalutazione: ♥♥♥♥♥