Per il suo breve ritorno nel mondo del freelancismo e il suo attuale e pestifero dedicarsi al blog, Zave utilizza un iMac Apple con schermo da 24″, processore Intel a 3.06 GHz, 2 GB di RAM e 1 TB nell’hard disk. Potente, veloce, silenzioso, snello e belloccio alla vista, iMac di Apple è la soluzione unica e comunque migliore per chi vuole sentirsi bene con se stesso e fare il bullo alla moda con gli amici.
E’ morto Gianni Baget Bozzo. Cioé, Padre Gianni Baget Bozzo. Tipo due mesi fa e passa, e nessuno mi ha avvertito. Non ricordo nemmeno urla e strepitii alla TV, il che può forse essere legato al fatto che non seguo alcun telegiornale tranne l’unico davvero valido (Sky, canale 200). Però non mi sono accorto di nulla nemmeno sul Corriere. Che botta. Cioé, ho anche visto che sul relativo articolo ancora presente su Corriere.it ci sono commenti che illustrano l’uomo come uno dei più grandi pensatori-giornalisti vissuti di recente. Il che è indubbiamente interessante. Poi ho pensato che forse era meglio mettere le cuffie e quindi son qua con quel “Down on the Upside” che a tutti piace odiare, ma che alla fine ce la fa anche. Assolutamente non come i vari “Badmotorfinger” e amici, ma ce la fa.
Il fatto che sia morto, comunque, impedirà con buone probabilità a Giannino di passare alla cassa elettronica del negozio virtualissimo e virtuoso dei Radiohead, che da poco ospita anche il download di alcune canzoni/dischi. Tra cui spicca la seconda metà del mai troppo amato “In Rainbows”. Ora, si possono perdere ore a chiedersi perché mai nei negozi sia arrivata l’edizione da un solo disco, dato che l’opera è concettualmente e slurpamente al completo solo se si chiude all’ultimo secondo di “4 Minute Warning”. Ma vabbè. Un’ingiustizia cosmica a cui gli stessi di Oxford provano a porre rimedio mettendo finalmente a disposizione di un certo pubblico (non quello da negozio quindi) le canzoni. Tralasciamo il fatto che, al 99,99%, quello stesso pubblico se l’era già procurato per vie traverse o con il Super Box Deluxe Edition Yeah Yo!, come aveva fatto il sottoscritto. Però… però si acquista in blocco a sei sterline. Che sono poche tutto sommato, meno dei 9 e rotti Euro di iTunes. Però il formato è solo .mp3 e mi pare di capire (senza procedere all’acquisto imprevisto) che non ci siano opzioni relative alla qualità degli stessi, presumibilmente fissata a un 160vbr come fu ai tempi “In Rainbows”. Ma… ma! Cadano gli dei! Qui si paga! Ai tempi s’era tanto discusso di questo “paga quanto vuoi, anche nulla”, tutto quel chiacchiericcio, lo scossone al mondo dell’industria discografica… Ecco, sarebbe bello parlarne, ma poi mi viene fuori una faccenda troppo lunga, quindi rimando a un futuro post. Però insomma, se volete finalmente spupazzarvi la seconda parte del più bel disco degli anni 2000 dei Radiohead, ora potevate farlo. E “Kid A”?
Il servizio Ore Sette del Corriere della Sera è ormai il punto di partenza della giornata, con la cronaca ormai cronologicamente sfasata delle 24 ore prima a rendere meno barbosi i viaggi in treno e metro con tutti che si leggono la free press. Ogni imparata di oggi arriva dal Corriere in edicola.
Riferendosi all’auto-candidatura di Beppe Grillo, Bersani dice: “Il partito non è un autobus sul quale salire e fare un giretto”. Fassino: “il PD non è un taxi dove si paga la corsa e si scende”. Melandri: “Il PD non è un tram su cui si può salire all’occorrenza”. Insomma, ho imparato che col PD non si va da nessuna parte.
Intro: per la spiegazione del perché e del percome della peraltro deliziosa collana “Zeros”, si veda questo post.
Gli anni del liceo (o della scuola superiore, in senso più largo), sono importanti. Quando non cerchi di prendere una strada e calarti dentro un costume per gli altri, lo fai almeno per te stesso. Insomma: si prendono delle decisioni, si fanno delle scelte, bisognavano. E quindi se decidi di essere rock, molto rock, come l’atmosfera dell’epoca permetteva ancora, oltretutto, allora poi è un po’ casino far finta di accorgersi che ci sia anche altro. Fortunatamente per me, non ho mai avuto sufficiente stima delle mie convinzioni per non ritenerle ampiamente modificabili cinque minuti dopo la formulazione. Insomma: va bene la nascita musicale a botte di Nirvana, Pearl Jam, Smashing Pumpkins, Cure e quant’altro. Ma quella roba lì elettronica ce la fa, ce la fa per davvero.
Con Tales of Monkey Island è cambiato tutto, almeno per TellTale. Gli autori del rinnovamento a episodi delle avventure grafiche hanno tra le mani la grande occasione, lasciarsela sfuggire sarebbe come condannarsi al proprio presente: che è fatto di collaborazioni, di nomi interessanti, ma anche di una certa volatilità nel gotha dei videogiochi, dei videogiocatori e dei videogioc… autori… mmm, lasciamo perdere. Il fatto è che fino a oggi TellTale ha vissuto tra la sufficienza piena e il discreto senza tante lodi: incapaci di puntare alla luna, aiutati e condannati al tempo stesso dalla loro formula episodica che, se da un lato aiuta a vendere qualcosa che il mercato non cercava da tempo (le avventure grafiche ovviamente), dall’altra ne ha ridotto il potenziale impatto, tramutando ogni capitolo di ogni serie in qualcosa di carino, divertente e nulla più. Passati i tempi in cui Gilbert, Williams e gli altri tenevano in mano una buona fetta di appassionati, con lunghe, divertite, appassionanti e significative avventure raccontate e giocate, ci sono voluti dieci anni circa per approdare a questa nuova dimensione ridotta della faccenda.
Su Sky Cinema Hits stanno dando “48 ore”. Nel mentre in cui provo a ricollegare il Saturn per vedere se la raccolta di Parodius è ancora splendida come un tempo (sì), mi godo un po’ di dialoghi di quelli fatti bene. Parlando delle prestazioni di Eddie Murphy, appena uscito da una sessione sudata con una ragazza, Nick Nolte chiede lumi sull’esito della faccenda. E Muprhy risponde: “sono stato bravo, dovrebbero darmi l’Oscar per il cazzo”. Che grande battuta cialtrona. Il piccolo Eddie è un Michael Jackson a cui sta andando meglio*, perché nessuno lo ha accusato di aver palpeggiato un bambino (per quanto ne so) e perché è ancora nero e non rischia la fossa da un giorno all’altro. Ma la parabola è più o meno quella: da star totale a mestizia devastante. Murphy ha anche avuto i suoi tre minuti di rilancio con “Dreamgirls”, ampiamente buttati nel water con “Norbit” o come si chiamava… una di quelle mezza porcate lì. Però i suoi film continuano a passare, mentre fino a un mese fa sentire alla radio “Billi Jean” era utopia.
L’Oscar di cui sopra, perlomeno, è una gran cosa. Al contrario delle perle di Lina Sotis sul Corriere della Sera, che in due giorni riesce a infilare una doppietta di classe come non le riusciva da tempo.
Venerdì 10 luglio:
Sarkozy non si alza per la Merkel. Carlà, tu che sei così bella, spiega al maritino che un gentiluomo si alza sempre davanti a una signora. E’ un segno di educazione, ma anche di virilità.
Sabato 11 luglio:
Spiace proprio che un’italiana sia l’unica first lady che all’Aquila è stata definita snob. Carlà, com’era più bello se lei indossava quell’elemtto con tutte le altre.
Raccapricciante come la miglior copertina di Cattivik! Qui Lina, là la grammatica, molto più in giù la decenza di evitare battute di second’ordine.
* e d’altronde il legame è anche ufficializzato dalla partecipazione di Eddie Murphy al video di Jackson “Remember the Time”, nella parte del faraone. Era il 1992.
L’enigmista: cosa ci fai con un box doppio se la rampa per arrivarci è talmente ripida che la mia amata Civic d’annata ci ha già lasciato giù una marmitta? In due anni le ipotesi vagliate sono state tante, all’incirca due: lo lascio così com’è + prima o poi ci farò qualcosa. Bene, manca la materia prima (i soldi) per comprare un cabinato doppio di Out Runners e tramutarla in sala giochi privata. Non ho nemmeno portato da Merate il vecchio mobilettone basso e lungo, moquettato e così anni ’70 che avrebbe rappresentato un discreto punto di partenza per trasformare la zona nel paradiso del retro-giocatore. Con un problema basilare: tutte le vecchie console avrebbero raccolto con precisione ed efficacia quintali di polvere e foglie secche ogni giorno.
Perlomeno l’ho ripulito, ovvero ho spostato una quindicina di scatoloni di vecchie riviste di videogiochi e fumetti da lì alla cantina. Appallottolato in un angolo un mezzo quintale di foglie secche, mangiato ragnatele a sufficienza da poter saltare la cena e imbattuto in un discreto numero di Smemorande liceali. Che è sempre una cosa da non fare. Nel mezzo ho però ritrovato una cartolina che nei miei ricordi era solo un biglietto di Natale. E non una cartolina-biglietto. Ricordavo la citazione (“it’s no secret that a friend/is someone who lets you help/…/they say a secret is something/you tell one another person/so I’m telling you… child” – “The Fly”, U2), ma non che fosse una cartolina e che quindi avesse un fronte: che è poi una delle più famose foto dei Nirvana. Era dedicata al Natale 1995 e firmata da mio fratello, che nello spazio dell’indirizzo ha avuto anche la buona creanza di indicare “Seattle” come residenza del sottoscritto. Solo ora colgo quanto meschina fosse la presa in giro, evidentemente impossibile da cogliere al volo per un giovane, illuso, che aveva scoperto da circa un anno il grande rock’n rock. Gente orrenda.
Ma comunque: cosa cacchio ci faccio con questo santissimo boxone doppio abbastanza sul gigante? No, “cambia auto” non è una strada attualmente percorribile.
Edit: grande novità per il blog più in voga tra le 12.54 e le 13.00 di sabato 11 luglio 2009: la musica! E difatti questo post viene sbalzato bello in alto e dà ora la possibilità di ascoltarsi la canzone di cui si ciancia qua sotto.
Come da previsione, gli Air hanno spedito gratuitamente il loro nuovo singolo “Do the Joy”, primo alfiere del futuro “Love 2”. E se il ruolo di un singolo può anche essere quello di simboleggiare il disco stesso, allora è perlomeno interlocutorio. O, forse (si spera), è proprio il portavoce perfetto dell’album che rischia di essere il secondo “10.000 Hz Legend”. Quelli di “Do the Joy” sono tre minuti di passaggio, quelli che proprio non si confanno a un primo singolo e di certo non sono pensati per vincere spazio nelle playlist delle radio. Che tanto non contano più nulla e quindi va anche bene così. Con l’intro in fade in addirittura affidato a una chitarra elettrica, che rimarrà per tutti e tre i minuti a stendere i binari del pezzo, gli Air si affidano completamente a un’atmosfera ricca: ricca di sintetizzatori e di un vociare in secondo piano, abbandonando la più classica delle sequele strofa-ritornello-strofa. Insomma, in un disco degli Air “Do the Joy” sarebbe la traccia che si appoggia placida tra due pezzi più corposi, per prendere fiato. A meno che “Love 2” non sia un album bello organico, un insalatone senza interruzioni apparenti e/o un bel disco tematico tutto fuso assieme, come per lunghi tratti è proprio “10.000 Hz Legend”. Sì sì ok, siamo nel reame delle supposizioni a cazzo, ma si può fare: dopo due episodi basati su canzoni più strutturate, di semplice lettura (“Talkie Walkie” e “Pocket Symphony”), “Love 2” potrebbe essere un bel blocco granitico di polvere stellare com’era tipico dei due francesotti tra la fine dei ’90 e i primi anni zero.
Capita così di rado di trovarsi di fronte a una bella copertina per un disco. Non solo a una bella copertina, ma pure a una bella copertina acida, tutta intossicata e fatta come una pigna. Quando capita è meglio salvarla sul blog: quella qua sopra è l’illustrazione che accompagnerà nei negozi “Run Rabbit Run”, una sorta di remix e rielaborazioni delle canzoni di “Enjoy your Rabbit”, composto, musicato e intepretato da Sufjan Stevens nel 2001. Mai sentito. Cioé, mai sentito il disco, lui sì. Anche perché lo sconfondo volentieri con il nome beduino (forza, fuori gli insulti sull’ignoranza e la mancanza di rispetto religioso-razziale) di Cat Stevens.
Degna di altri grattini la storiella messa in piedi dalla responsabile della copertina stessa e riportata dall’ogni-tanto-valido Stereogum:
Sufjan suggested I do artwork for this new album that he’d started work on Run, Rabbit, Run – drawings that, like the re-arranged music, would flower from the outlines and ideas suggested by the originals.
Now, Sufjan is a very formal person, so we set a date for the official kick-off meeting. At the appointed hour, I heard a light rapping on my door. I went to answer it, wondering why so quiet? Why no doorbell? Sufjan stood there, and he said to me in his quietest voice, ‘There’s a rabbit in your yard,’ like it’s some set up, like this is some joke.
But there it is, this beautiful black and white bunny, twitching and lost and afraid and unsure exactly what was going on and how he ended up under this big bush on a lawn in this big city. We scrambled to catch him, and once we did, and we put it in a box out in our backyard.
Now Sufjan had brought this ornate list of what needs to be done in the drawings and we tried our best to get through it: ‘Of course, a tiger and a tortoise and a butterfly.’ ‘Yes, sure the snake could use a scorpion and some pomegranate.’ ‘Definitely water dragons would enjoy grapes.’
It was hard to do this with a straight face, and all we could think of is this rabbit in the back of the house, and all of a sudden for no particular reason we found ourselves calling Shara to tell her.
‘Did you guys know I’d been keeping rabbits lately,’ she said. ‘Thank you for finding my new rabbit.’