Un Bari stellare. Sarà Ventura che ha la bacchetta magica? O sarà tutto merito dell’ex dalla folta capigliatura sintetica, AntonoConte (si scrive tuttattaccato)? Quel che è certo è che il Milan non capisce e non sa come capire. Non sa nemmeno bene che fare, ma ci prova lo stesso, in un impeto di doveri contrattuali che pare si riflettano ben poco in uno spirito altrettanto guerriero o, ancora meglio, in uno schema di gioco utile all’abbisogna.
Per qualche tempo la mia idea di incubo è coincisa con quella di trovare nei negozi solamente platform game. Un po’ come ritrovarsi con alla radio solo Gigi D’Alessio e Nek. Poi non è stato proprio così, grazie a Dio (Dio però ancora non ce l’ha fatta con Gigi e Nek), ma, cazzo, il pericolo è stato bello grosso, per molti anni.
Intro: nuovo appuntamento con “la grande enciclopedia del Nintendo la Rivista Ufficiale”. Per le altre puntate cliccate qui.
Una quarta puntata che è tutta un correre di qua e di là. Un po’ di effetto-contenitore per recuperare il tempo perso, concentrandosi sul numero magico (il sesto) e comunque degnando di qualche sguardo anche i due precedenti.
Non si chiama PlayStation 3 Slim, ma solo PlayStation 3. E’ la nuova forma che Sony ha voluto regalare alla sua donzella che crea solo preoccupazioni. Il buon Shrapnel ha vergato una paginetta elettronica con le sue impressioni, dato che io di prenderla proprio non ho minimamente voglia (né avrebbe un senso, ho già quella panzona vecchia). Lo Shrapnel è l’Erik Pede di (anche) Super Console e Videogiochi, quindi se vi sembra tutto troppo da fanatici… be’, avete ragione, ma a noi ci piace così. Lascio la tastiera all’ospite.
Game Pro era una rivista di videogiochi edita da Sprea Editori. Qualcuno la definiva l’erede morale di Videogiochi, ma mai termine potrebbe essere meno adeguato, dato che proprio moralmente era la vergogna che qui andremo a svelare. E’ un segreto di Pulcinella, o forse no.
Che peccato, o che fortuna. Ero pronto a sputare tutto il più banale dei veleni su “Ad ogni costo” di Vasco Rossi, la cover di “Creep” (Radiohead) che funzionerà come singolo per lanciare non ho capito bene cosa. Sarebbe stata la solita invettiva di quelli che “madonna quanto mi sta sulle palle Vasco”, che poi ci vuole veramente un attimo. Prendersela con l’ometto di Zocca è ormai opera talmente comune che fa il giro e diventa quasi fastidiosa.
Come per le riedizioni dei dischi dei Beatles, per l’occasione si va sul personale. Ma insomma, è pur sempre un blog: ogni tanto si dà le arie, ma è sempre un blog. L’occasione: “Nevermind”, secondo album dei Nirvana, compie oggi diciotto e dico diciotto anni. Diciotto autunni, volendo. Pubblicato da Geffen il 24 settembre 1991, arriva a piazzare circa due sgozzillioni di copie nel giro di pochi mesi, quando la miglior campagna pubblicitaria del globo (il passaparola) lo tramuta in uno scintillante dio platinato, mica dorato.
“Nevermind” è il disco che agli appassionati della prima ora piace denigrare, sottolineandone l’eccessiva melodia rispetto alla purezza da calci nei denti e la fastidiosa sincerità di “In Utero”. “Nevermind” è il disco che quelli arrivati appena dopo sperano di riuscire a demolire, perché c’è la sensazione di essersi persi qualcosa: “Nevermind? No guarda, io avevo i Blink-182”. Ma lui rimane lì, come il semaforo nella nebbia postulato dal Guzzanti-Prodi. Fermo, immobile, ma, a differenza del professore, maestoso e bello. Bello come un bronzone di Riace che mica si vergogna.
Alla conferenza di apertura del suo Tokyo Game Show, Sony ha dato al Giappone quel che crede che il Giappone stia cercando, probabilmente a ragione. Pochi dettagli su nuovi progetti, qualche dato e poi tutto lo spazio del palco e delle cuffie-con-traduzione alla bacchetta magica. Chiamatela Wand, Magic Controller, Bacchetta di Creamy Mamy, tanto è sempre quel finto microfono col naso da pagliaccio di ghiaccio che si illumina.
Digital delivery omnicomprensivo? Troppo presto. Yoichi Wada, grande uomo diavolo di Square Enix, ha tenuto a battesimo un promettente Tokyo Game Show rivolgendosi in particolar modo ai suoi colleghi, compagni ed eventualmente rivali nell’industria, più che ai giocatori. Nel discorso di apertura dedicato allo “stato delle cose”, Wada-san appoggia spesso e volentieri la mano sull’interno giacca, tasta il portafogli e capisce che qualcosa non torna.
“Non esiste ancora un mercato pronto a supportare (e a giustificare quindi, nda) la distribuzione digitale di giochi di alto profilo”, ovvero “è impensabile che i giocatori spendano 59 dollari per un videogioco da scaricare”. Giusto, anche perché ci sarebbe sempre quella faccenda del prezzo che andrebbe (e non di poco) abbassato nel momento in cui si taglia fuori una significativa fetta di spese (stampa e distribuzione su tre mercati, perlomeno).
Continua Wada: “il prossimo passo per il settore è immaginare nuove metodologie da applicare ai prezzi e ai sistemi di vendita”, altro che sistemi di controllo sensibili al movimento. Aprendo, però, anche a una prospettiva più che intrigante: “qualche giocatore probabilmente preferirebbe spendere di meno per poter giocare in un periodo limitato” – insomma, l’instant-abbonamento. Che personalmente trovo più che eccitante, sempre a patto che il costo sia perlomeno vicino alla decenza, va da sé…