Intro: per la spiegazione del perché e del percome della peraltro deliziosa collana “Zeros”, si veda questo post. Per le puntate precedenti, cliccare qui.
Due dischi in oltre dieci anni: questo l’inquietante e lievemente deprimente record dei Beastie Boys. Da “Hello Nasty” (1998) all’imminente (si spera) “Hot Sauce Commitee Part 1” saranno ben dodici le primavere appassite, con il solo “To the 5 Boroughs” (2004) a spezzare il digiuno, continuato a prescindere dal divertente esperimento strumentale di “The Mixed Up” (2007). Poca roba. Ma se la quantità va di pari passo con la qualità, si può quasi far finta di nulla.
E “To the 5 Boroughs” fa tutto quanto in suo possesso per cementare la credibilità del trio di New York. Messi da parte i panni dei ragazzini terribili e abbandonati per ovvi motivi (anagrafici e modaioli) quelli che li hanno visti impostare trend e cavalcare prepotenti l’onda di MTV negli anni ’90, i Beastie hanno fatto quanto potevano per assemblare il disco che volevano. Che è poi la loro lettera d’amore non solo alla grande mela, ma soprattutto a loro stessi e alle loro origini. E’ inutile e impreciso definire “To the 5 Boroughs” come il “Paul’s Boutique” della seconda maturità, ma se proprio si vuole cercare un’origine e un legame stilistico nel passato, è all’album del 1989 che bisogna riferirsi.
Ridimensionato l’aspetto più leggero, umoristico e scanzonato (comunque presente), il gruppo si concede allo stesso modo poche sortite in quel mondo distorto e dalle mille influenze esotiche che aveva reso “Hello Nasty” uno splendido calderone di colori e sapori. “To the 5 Boroughs” è vecchio stile, tutto basi e lingue taglienti. Esplode di parlantina veloce e campionamenti cuciti su misura. Non è però un disco antico: i 40 e passa anni di Mike D, MCA e Ad Rock sono messi in bella evidenza. Dall’esperienza, dalla puntualità, dall’illusione di un’improvvisazione che è ovviamente inesistente, ma che funziona alla perfezione nel donare ritmo, velocità e stile alle quindici tracce. Non c’è nessuna “Body Movin'” che un Fatboy Slim possa allegramente saccheggiare e fare sua, ma la compattezza granitica di “Right right now now”, tutto il carattere di “Hey Fuck You” e “Oh Word”, oltre alla già citata “An Open Lettere to NYC”. Quella che giustifica le torri gemelle ancora belle erette nell’illustrazione utilizzata in copertina.
Quelle che, venendosene giù senza troppi complimenti, hanno probabilmente spinto i Beastie a venire a patti con l’attualità e riappropriarsi dei loro cinque distretti.