Da una parte grandi, ambiziosi e lussuriosi panorami degli USA che slittano a fianco della Porsche 911 piazzata al centro dello schermo da Electronic Arts. Dall’altra i pochi metri che corrono tra il portone del palazzo in cui sono nato/cresciuto e l’uscita sulla strada: sfoglio un numero di una qualche rivista e decido che aspetterò, non comprerò il 3DO. Le due scene sono in qualche modo legate, ma tocca rimbalzare tra il 1994 e il 1996 per tirare il filo che le unisce. Perché in effetti il 3DO non l’ho mai preso… e nemmeno si capisce come avrei potuto (prezzo troppo alto, adolescenza appena sfiorata, portafogli non esattamente senza fondo), limitandomi a fissare da lontano The Need for Speed.
Sull’entrata in scena di Jagged Little Pill, primo disco di Alanis Morissette, non ho dati e date precise. So che a un certo punto sono in camera mia, seduto per terra (come sempre, è il bello della moquettatura integrale da appartamento anni ottanta) e ne sto sfogliando il libretto, mentre gira nel lettore CD del gigantesco stereo componibile che ho fregato in sala e ho annesso ai miei possedimenti privati. Immagino chel’avesse comprato mio fratello o, più facile, che se lo fosse fatto passare da qualcuno. Su Videomusic i quattro minuti di Alanis seduta su una panchina, nella clip di You Oughta Know, è già una costante ed è pure comparsa nelle pagine degli spettacoli del Corriere della Sera. In casa si accumulano i numeri di Tutto, Rock Star, Musica (l’inserto di Repubblica), ogni tanto anche Q, se anche non fosse stato per il Corriere, quindi, avremmo comunque stretto la mano canadese di Alanis. Che poi vai a sapere che era canadese e che poi vai a sapere che era il terzo disco.
Electronic Arts aveva già portato sul 17 pollici Philips della cameretta panorami da cartolina: Road Rash 2 per MegaDrive mi aveva messo dentro una precoce e finto-sofisticata passione per gli ambienti rurali e le strade aperte statunitensi, tra distese di alberi autunnali e campi abbracciati dal sole al tramonto. The Need for Speed mi sembrava il fratellone indiscutibilmente più figo. Tutto 3D, tutto con “il texture mapping”, tutto veloce, tutto traboccante dello strapotere di una console che è molto più avanti dei miei amati scatoli a 16 bit di Sega e Nintendo. Ma secondo me non ce la fa, quel 3DO lì… non è Sega, non è Nintendo e non è manco giapponese. All’epoca avevo una conoscenza confusa della fase pionieristica di Atari nei videogiochi, per i videogiochi e tutto nasceva e finiva nella terra che mi proponeva i fumetti che leggevo ogni giorno e i cartoni con cui ero cresciuto. Allora PlayStation sì, PS-x è di Sony e vabbene che non sarà il Saturn, ma forse ce la può fare e poi Sony fa anche il Walkman e vogliamo bene al walkman.
Un sabato pomeriggio primaverile il walkman ospita, mastica e mi ripropone Jagged Little Pill. L’anno è il 1996, perché sono appena stato a casa del mio amico che abita ad Assago, nell’hinterland di Milano che non conosco neanche per sbaglio e da lontano. So però che ad Assago c’è il Forum e che ci sono andato un anno prima per i R.E.M. (era il tour di Monster ed era il mio primo concerto) e che, non scherziamo, ci tornerò un milione di volte. Lo spettacolo, fuori dal finestrino dell’autobus che mi riporta verso la stazione della metropolitana di Romolo, è deprimente. Ma di un deprimente accogliente e familiare, che, scopro ora a quasi trent’anni di distanza, ti si appiccica a una qualche parte tra cuore e testa e lì rimane (apparentemente a tempo indefinito). Sto tornando a casa, è marzo e c’è la festa di compleanno del parente di sangue di cui sopra. Mi faccio trasportare da Ironic e da Hand in my Pocket e da tutte le altre. Alanis Morissette è forse la prima cantante di cui ascolto, ripetutamente e con soddisfazione, un disco intero. Qualche anno prima c’era stata Tracy Chapman: mi piaceva quando, per radio, passavano i suoi pezzi e me li godevo mentre ero in auto con mio padre, da qualche parte attorno al mercato dei fiori a Lambrate (credo). Se non sbaglio C., il mio amico del piano terra, aveva tutta la cassetta, ma era anni fa e non ero ancora dentro il tunnel dell’ascoltare musica sempre e comunque (perché che altro vuoi fare?).
Jagged Little Pill è così irrimediabilmente anni novanta che, oggi, non saprei dire se mi piace perché mi piaceva all’epoca o se è semplicemente un ottimo disco. Oggi mi pare più furbo di quanto, probabilmente, non fosse per davvero… ma potrebbe pure trattarsi di semplice ed eccessivo cinismo dato da un’esagerata esposizione all’età adulta. Va bene, c’è nella produzione e in qualche arrangiamento un approccio che è coerente con quanto andava forte all’epoca, ma insomma… è (quasi) sempre stato così ed è nell’ordine delle cose.
Nel 1996 quel disco me lo faccio rigirare in testa tanto, poi, da stipulare un accordo di massimo rispetto (non reciproco, per quanto ne so) con Alanis, tanto da seguirla in ogni suo successivo disco. Oggi l’album è attuale, ancora e purtroppo, nell’approccio e nei temi: Jagged Little Pill si gioca la carta dell’onestà intellettuale e della brutalità episodica, valori etici del suono che nasce a Seattle in quegli anni, pur levigando e lasciando spazio a interpretazioni più morbide da parte di Alanis. I temi sono quelli della donna maltrattata dall’industria discografica e dal genere maschile in senso più ampio, quindi la vendetta e gli urlacci e i vaffanculo.
Quel sabato Assago mi pare di un brutto nuovo e diverso, in particolare la striscia cementosa di mezza tangenziale che la unisce a Milano (per il resto lei, va detto, è una semplice cittadina periferica senza arte né parte, come decine di altre… che non sopporto allo stesso modo). Mi sto portando a casa il disco di The Need for Speed per PSX, console che, nel frattempo, ho comprato vendendo tutte quelle scatoline a 16 bit che avevo attorno al 17 pollici Philips. Il gioco è stato acquistato assieme a D., in una comunione di intenti e di fondi (soprattutto). Ci abbiamo passato sopra un pomeriggio, sfilando veloci e provando a studiare quei macchinoni che, rispetto ai Daytona e a tutti gli altri, si muovevano in maniera pesante, imprevedibile, ma potente. The Need for Speed è diverso anche perché nasce in casa e non in sala giochi, dove, ancora, i grandi giochi di corse amano farsi vedere al loro meglio. Tenta, ma questo lo colgo molto più tardi, di portare la cultura e la passione per le auto, quella reale per quelle reali, nei videogiochi. Il cordone ombelicale che mantiene il gioco, sviluppato da EA Canada, ai suoi tempi è il numero ristretto di percorsi (solo tre nell’originale per 3DO, poco di più nell’edizione PlayStation e non solo) e di vetture. Ma che bestioni. E come si continuavano a squagliare i colori e le case e le vallate e il mare e i fiori e gli alberi e le altre auto, quando ce le lasciavamo alle spalle.
Dopo, Alanis Morissette scriverà il suo miglior album (Supposed Former Infatuation Junkie, 1998) e The Need for Speed perderà quel suggestivo The iniziale, tramutandosi in una serie. Quando torno a incrociare le sue strade, preso alla stessa maniera, è il 2003 di Need for Speed Underground e sono nella redazione di Nintendo la Rivista Ufficiale e, lì nel gioco, i panorami sono molto più simili a quelli dell’Assago di quel 1996.