Spoiler: questo articolo fa parte di una collana dedicata ai giochi della generazione che va morendosi.
L’obiettivo è unicamente presentare i giochi che ho provato a fondo e che mi sono piaciuti in maniera particolare, per svariati motivi. Al gentile pubblico sia noto che non si vuole qui e ora selezionare quelle che ritenga essere, in senso assoluto, le migliori uscite della generazione PS4/XB1 (e Wii U/Switch).
Non mi ricordo granché di Inside (qui la mia recensione per IGN Italia), così come non riesco a individuare particolari passaggi di Limbo, il primo gioco di PlayDead, quello che assicurò al team nordeuropeo un posto sotto ai riflettori. Mi era piaciuto abbastanza, non troppo, non tanto da giustificare il riproporsi di quell’avventura ad alto contrasto e mille sfumature di nero, ma lì la questione era un’altra. Limbo era diventato, assieme a Braid di Jonathan Blow e a Castle Crashers di The Behemoth, il tedoforo del videogioco indipendente.
Inside rientra nel noioso, ma perfettamente adeguato, discorso del secondo album: quello della conferma. PlayDead è scomparsa per un bel numero di anni, avvolta nel mistero mentre al lavoro sulla sua prossima scommessa: giusto un veloce scostare il velo a un qualche incontro di Xbox pre-E3 e poi, di nuovo, l’oblio.