Spoiler: questo articolo fa parte di una collana dedicata ai giochi della generazione che va morendosi.
L’obiettivo è unicamente presentare i giochi che ho provato a fondo e che mi sono piaciuti in maniera particolare, per svariati motivi. Al gentile pubblico sia noto che non si vuole qui e ora selezionare quelle che ritenga essere, in senso assoluto, le migliori uscite della generazione PS4/XB1 (e Wii U/Switch).
Per una settimana, solo giorni feriali, mi sono svegliato, ho bevuto un caffè fissando il sole delle ultime settimane d’estate e poi sono salito sulla bici per sudare fino alla stazione del treno. Di quei cinque giorni ricordo l’arietta gentile della mattina e l’umidità porca/maledetta del pomeriggio. Ricordo il disco dei Low a cui facevo spesso affidamento pedalando all’andata e le cuffie che usavo. Era la settimana di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, alla fine dell’agosto 2015. Avevo dovuto interrompere prima le vacanze per tornare e occuparmi della recensione, organizzata (con un certo livello di scorno) negli uffici di Digital Bros. Avessi potuto scegliere, avrei preferito di gran lunga evitarmi le sessioni con orario prefissato (non prima delle 9, non oltre le 18), ma alla fin fine anche quella serie di limiti e di regole hanno alimentato il “mito” di Metal Gear Solid V, ai miei occhi e nella mia memoria. Di quel brevissimo periodo, ricordo proprio tutto.
Sono stati giorni di gioco matto e disperatissimo, per davvero. L’idea di non riuscire a finire in tempo uno dei giochi più attesi, discussi e promettenti della generazione, non poteva nemmeno essere presa in considerazione. Così come l’ipotesi di giocarselo correndo all’impazzata, giusto per arrivare in fondo (alla prima, celebre, parte), senza mai lasciarsi cullare dal ritmo delle attività non strettamente necessarie, ma poi essenziali per avere sia una visione d’insieme sensata, che gli strumenti per affrontare con il giusto equilibrio il gioco. Ogni giorno giocavo, prendevo quintali di appunti e poi, tornato a casa, scrivevo un diario: le puntate di quel diario sono state pubblicate appena dopo la recensione, tra questa e l’uscita vera e propria del gioco.
Quello dell’E3 2014 di MGS V è uno dei pochissimi trailer che mi trovo a riguardare, ad anni di distanza, giusto per il gusto di farlo. E per il pezzo di Mike Oldfield, per la potenza del montaggio e per ricordarmi poi quello che ho vissuto effettivamente nelle decine di ore di gioco.
Metal Gear Solid V: The Phantom Pain è indiscutibilmente nel novero dei miei giochi di questa generazione. Non solo nei primi dieci, per dire, ma addirittura nei primi cinque. Per fortuna non ho minimamente intenzione di mettermi, ora, a stilare una classifica vera e propria. Il gioco di Kojima è una tempesta di classe, suggestioni, eleganza nel gameplay e profondità nelle strutture, ma anche uno spettacolo che allieta gli occhi coi suoi sessanta frame al secondo di panorami caratteristici, crudeli e irresistibili.
Come mi capita spesso, del gioco ricordo più che altro certe sensazioni, una generale idea di stupore e di ammirazione che riusciva a strapparmi, continuamente, l’esaltazione di alcune fasi e la voglia febbrile di portarmi a casa i salvataggi, sperando che si sarebbero rivelati compatibili poi con un altro account e un’altra versione del gioco. Ovvio che no, maledette console debug e versioni preliminari.
Giochi già selezionati:
- Resogun (PlayStation 4)
- Mario Kart 8 (Wii U, Switch)
- Destiny (PlayStation 4, Xbox One)
- PES 2015 (PlayStation 4, Xbox One)
- Metal Gear Solid V (PlayStation 4, Xbox One, PC)
- Uncharted 4: Fine di un ladro (PlayStation 4)
- Inside (Xbox One, PlayStation 4, Switch)