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Del perché non pago le ragazzine per strada

Smashing Pumpkins Zeitgeist

Da qualche parte, qualche giorno fa, ho riportato le parole del Dottor Fester (all’anagrafe William Patrick Corgan) relative all’ossessione moderna per l’eccellenza assoluta, che porta a tralasciare il processo che porta al “picco”. Insomma, quel che c’è in mezzo, la mediocrità intesa nel senso meno dispregiativo del termine. E oltretutto il vocabolo usato non era nemmeno quell’orrendo “eccellenza” che fa tanto Itaglia, come direbbe il buon Stanis.
Ecco, credo graviti anche lì attorno la mia personale preferenza per il disco, rispetto al singolo. La mia tendenza ad ascoltare tutto di un gruppo che mi piace, la discografia completa piuttosto che solo “il grande album”. Certo, va fatto un lavoro di pre-selezione prima. Ché se anche, e tutto sommato, due cose caruccettine i Linkin Park le hanno “scritte”, poi non è che vai a sentirti tutto. No, ci vuole la selezione all’entrata. Ma una volta effettuata, ed effettuata in automatico da testa e cuore oltretutto, è bello sguazzarci dentro.
Il concetto è astruso e difficile da esplicare con decenza, però. Qualche mese fa, qua nel fantastico ufficio assaghese, è nata una discussione relativa all’utilità dei brani “non da classifica” di un album. C’è chi sosteneva che se, alla fin fine, l’industria musicale riprendesse in toto la strada di un mondo fatto solo di singoli, intesi come tali e non di album, intesi nel loro complesso… alla fine non si perderebbe nulla. Perché tanto, se sono gli stessi artisti a fare una selezione di quella che può essere una canzone “eccellente”, nascondendo alla vista e alle orecchie quelle che formalmente possono essere definite (nei casi delle mie preferenze con molta bestialità) dei “filler”, allora non ci sarebbe stato alcun problema. Invece no.


Pearl Jam Riot Act

Invece la canzone che non è la migliore che tizio e caio abbiano mai scritto serve, serve anche e soprattutto all’interno di un album per dare coerenza stilistica e sfaccettature a quello stesso stile. Ma serve in generale se hai deciso che ti piace quella roba lì. Insomma: per come la vedo io, se hai deciso di riconoscere un merito e delle abilità artistiche a questi quattro sgargabonzi che suonano e scrivono musica, allora sarai seriamente interessato a tutte (o a buona parte del) le composizioni partorite. Perché il mood, il legame empatico, le sensazioni evocate possono essere più o meno forti, ma tutte intriganti. Non riesco sinceramente a credere che la mia vita da fanz dei Pearl Jam sarebbe ugualmente ricca se non avessi mai sentito (o se non avessi la possibilità di ascoltare quando voglio) pezzi come  “Bugs” (Vitalogy), “Around the Bend” (No Code), “No Way” (Yield) e via andando. O anche la stragrande maggioranza di “Riot Act” e di “Binaural”, per dirne altri. Perché nelle intenzioni di entrambi i dischi c’è qualcosa di differente, che il mondo fatto a classifiche ha bollato come dimenticabile, ma invece anche ‘sti cazzi.

Mellon Collie RIAA certified

Ora come ora guadagnerei solo dei punti-dolore dalla scomparsa di “Seven Shades of Black”, di “Shame”, di “We Only Come Out at Night” dal catalogo degli Smashing Pumpkins. Giusto per portare altri esempi a caso di cane. Perché? Non sono grandissime canzoni, non classicamente intese. Ovvero non sono quei pezzi che, quando te lo chiede l’amico che non ne sa, gli consigli di comprare scaricare immediatamente. Ma sono ciò che rendono una band una grande band, a differenza di quello che ti acchiappa il riff mezza volta, o anche due volte. Sono la prova provata di un’anima musicale in continua evoluzione/mutamento/espressione. Un’anima musicale che, grazie a dio, mi dice qualcosa e che naturalmente spero continui a parlare il più a lungo possibile.
Con particolare indelicatezza si potrebbe dire che è la differenza che passa tra andare a donnacce, comprandosi la dose di sesso preconfezionato e invece vivere l’ammore delle due emme, quello che prevede un rapporto continuato e imprevedibilmente ricco di differenti momenti e dinamismi. E’ una relazione, non è sesso a buon mercato. O, per tornare al Pennac di ieri (che viene via a poco): “non c’è mica solo la felicità nella vita, c’è la vita!”.

viale john lennon 16, 23875 osnago italy

2 risposte su “Del perché non pago le ragazzine per strada”

Ma naturalmente, gli “artisti” potrebbero anche decidere di riempire i tuoi daunlòd di filler, oltre ai singoli. Solo che sarebbero loro a decidere, invece della casa discografica – come questo li renda meno artisticamente coerenti, non è francamente chiaro.

Ma perché tu credi che sia la casa discografica a dire a gente di certa caratura come deve fare il disco. Io no.

P.S. mai parlato di coerenza artistica. E naturalmente se il discorso fosse sulla tecnica (“come vendere musica oggi, ammazziamo le major”), sarebbe differente. Ma non intendevo riferirmi a quello.

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