“Lullabies to Paralyze” è il grande disco del dis-amore: la stragrande maggioranza di chi era saltato sulla macchina spedita a velocità smodata nel deserto di “Songs for the Deaf” se ne è andata. Niente più aspirina e Coca Cola, nessun bagordo, le luci si spengono, se ne va pure Olivieri il Diavolo e la creatura di sabbia rimane “solo” a Josh Homme, che ci fa quel che vuole. Dei cinque dischi dei Queens of the Stone Age, è anche quello più difficile da riascoltare, perché in testa ti rimane sempre quella vaga sensazione marmorea, di un blocco difficile da avvicinare. Ma non è meno riuscito di qualsiasi altro album del gruppo, tolto lui, il “Songs for the Deaf” di cui sopra. “Lullabies to Paralyze” è lungo e criptico, non tanto perché sia chissà quale svolta strumentale-filosofica-blabla, ma perché è nero e oscuro come le cose più nere e oscure del primo album, eponimo, del gruppo. E se vieni dalla sbornia di hit parade di “Songs for the Deaf”, è un po’ un casino.
Attraverso sessanta minuti, Homme e gli amici rimasti (pressoché tutti a dire il vero, anche se Lanegan qua non fa poi un granché) organizzano una nottata di quelle epiche. “Lullabies to Paralyze” è rilassante e divertente quanto può esserlo un piccolo sabba tra conoscenti. C’è chi, attorno al falò, suona Battisti. E poi c’è chi mette in piedi una sorta di violento e ipnotico giro di mostri come i nostri. Non serve né l’annuncio morbido di Lanegan che apre l’album con “This Lullaby”, né i due minuti scarsi di “Medication”. Che proprio potrebbe essere un pezzo di “Songs for the Deaf” se non per il fatto che non lo è. Ed evidentemente non lo è: gli ingredienti sono gli stessi, ma la velocità è ridotta di quel tanto per basta per trasformare il luna park in una casa degli orrori coi clown dalla faccia slavata e alla disperata ricerca di una dose.
Sopravvivere alla prima metà vuol dire intrufolarsi e uscire indenni dalle spire e dai rovi di “Everybody Knows that you are Insane” (ma dove li trova ‘sti titoli?), sopravvivendo alla celebrazione di “Burn the Witch” e finalmente riuscendo a intravedere qualcosa di più rassicurante “In My Head”. Sopravvivere vuol dire anche arrivare alla seconda porzione di un disco che riesce finalmente a farsi capire e a farsi amare solo una volta che ci si è lasciati prendere dalle sue nenie schitarrate e inquietanti. Non è detto che la seconda metà del disco sia migliore della prima, ma è probabile che ci si arrivi con la forma mentale più adatta. Ormai venduti alla causa e amanti del sabba di cui sopra, è più facile entrare nei meccanismi e nel romanticismo della possente e delirante “Someone’s in the Wolf”, nella violenta esplosione controllata di “The Blood is Love”, lasciandosi cullare da “Skin on Skin” e “Broken Box”, prima di addormentarsi sicuri di non svegliarsi con l’accoppiata acustica-elettrica di “Long Slow Goodbye”.
Una funzione officiata dall’Homme anche per liberarsi dallo spettro del passato, scomparso senza possibilità di recupero con l’allontanamento del compagno di avventure Olivieri? Probabile. Il solito bel disco dei Queens of the Stone Age? Quasi, forse, perché non è propriamente il “solito”. Ma è anche nelle pieghe di un album decisamente più intricato come questo che si capisce quale possa essere la passione per ogni risvolto musicale della mente biondiccia di uno dei più migliorissimi che attualmente riescono ancora a sollazzare il panorama rock. Perché è vero, come dice Mr. Gesù è la Verità: la società moderna è ossessionata dall’eccellenza, si dimentica quel che sta in mezzo. Nel caso dei Queens of the Stone Age, il mezzo è pieno di ostie sbriciolate di fronte a un bosco alle tre di notte.
Lullabies to Paralyze
(Queens of the Stone Age)
Interscope – 59 minuti
Queste dovete ascoltarle: The Blood is Love, Someone’s in the Wold, In My Head
Zavalutazione: ♥♥♥♥♥
3 risposte su “Metti una sera, un sabba tra amici”
Applausi (a te e al disco, nonostante io preferisca Rated R)
Anche io, credo. Mah. Probabile che, tutto sommato, sotto a Songs siano tutti allo stesso (ottimo) livello, un filo meglio il primo disco forse.
Guarda, se devo dare un giudizio oggettivo – escludendo Songs – forse effettivamente è meglio il primo. Come “affetto” dico Rated R, perchè c’è Leg of Lamb!