No, non è LostWind 2 ma Winter of the Melodias, tanto cambia. Cioé nulla cambia, perché quelli di Frontier avranno anche avuto il buon gusto di non scomodare il numero d’ordine per non creare chissà quale aspettativa, ma tutto sommato di introduzioni interessanti ce ne sono a sufficienza. Tagliando corto: c’è chi ha fatto meno e si è comunque preso la briga di appioppiare un due (o quel che è) a giochi ancora più fotocopia di questo.
Che poi, oh, fotocopia del miglior gioco per WiiWare? Ditemi dove devo firmare. Però, prima, ditemi anche che lo mollerò a dieci minuti dalla fine per sopravvenuta esplosione degli zebedei. Winter of the Melodias, un gran bel pezzo di cosino da scaricare a prezzo ridotto, soffre di quella che sembra ormai un’inevitabile influenza contemporanea: il pezzo in cui devi portare a spasso un secondo personaggio non giocante, dalla stessa capacità di elaborazione e dallo stesso spirito d’iniziativa di un frullatore a cui hanno staccato la spina.
Mese: Gennaio 2010
La colonna sonora di “Cocktail”
L’horchata non è proprio orzata, ma ci si avvicina. Così come “Contra”, secondo album dei nuovi miracolati Vampire Weekend, non è proprio un bel disco, ma ci si avvicina. L’horchata nasce tecnicamente e storicamente in zona catalana e i Vampire Weekend no, ma sono latini. O, mal che vada, latino-americani. Insomma, tutta roba a base di sole e cocktail, ballerine con le collane di fiori e sabbia nei sandali. Immaginatevi gli Strokes, se solo Casablancas si fosse goduto i soldi in spiaggia tutto il tempo e avesse evitato di parlare di poliziotti new-yorkesi, salvo poi battere in ritirata di fronte alla catalessi del 9-11.
“Contra” ferma il cronometro dopo nemmeno 37 minuti, suddivisi attraverso dieci tracce. Che è un po’ un modo numerico-tecnico per dire che potete ragionare sull’eventuale gradimento “sprecando” proprio una minuscoleria del vostro tempo, magari sfruttando lo streaming in buona qualità che riempie generosamente la pagina ufficiale del gruppo. Io ho preferito passare dalle parti dei download e dedicargli un pomeriggio e una serata in auto. E non è male.
E’ una citazione, quella in apertura. Eventualmente qualcuno ne rivendicherà la paternità, ma per intanto… siamo ufficialmente al centesimo numero di NRU, per gli infedeli sarebbe Nintendo la Rivista Ufficiale. Per le mie e-mail sarebbe la Ringhiata, la Religione, la Raschiata, la Ramazza, la Rampetta e un’altra mezza valanga di parole che cominciano con la erre. Infilavo ‘ste idiozie nelle comunicazioni ai collaboratori, quelle di inizio lavorazione in cui “tu fai questo, se arriva / tu fai quell’altro, se funziona / tu fai quello che quell’altro proprio ha schifo a fare” e via di questo passo.
Santissima polenta quanto mi manca fare una rivista di giochini. E pure farla con tutti gli amichetti, che va bene che i social instant cosi messanger ti tengono più vicino, però non basta. Neanche l’omofobia riesce a tenermi lontano dal pensiero. Comunque si diceva: cento numeri. Qualcosa in meno di cento mesi (novantadue?), a ben vedere una valanga di roba e di tempo. E di giochi e di cose da raccontare e lagrime con la “g” da versare di nuovo. Ma per quello c’è la collana, che magari torna anche presto, forse che si, forse che no.
Però un bacio con la lingua tutta appallottolata a Ughetto e Babich, a Roberto e Davide, al Zanna e al Frarru e a tutti gli altri. Ad Anna ed Elisa no, che non si può dire, altrimenti mi ritrovo con un labrador nero cocainomane di 35 chili nell’appartamento.
Avrei voluto esserci io assieme a tutti quelli lì sopra, per i cento numeri. Se il mondo fosse un posto anche solo lontanamente meno vergognoso. Così invece no, non ci sarei voluto essere e difatti non ci sono. Però, per dirne una, lo speciale all’interno del numero dedicato alla storia della rivista è proprio ben fatto. Gli articoli di Barbichino sono sempre delle termocoperte di amore e il tocco romanazzo di Boba ci piace.
Sarebbe veramente troppo una roba spaziante riuscire a essere sinceramente entusiasti del traguardo raggiunto. Ma invece anche no. Tante cose sono cambiate dal 2002 a oggi. Tipo che prima la Juventus vinceva (il 5 maggio cazzo!) e oggi prende le sveglie. Tipo che prima era l’inizio e ora è già finito tutto da un pezzo. Tipo che sto ascoltando Tracy Chapman e so che non avrei dovuto farlo che è subito malinconia-canaglia-fine-anni ’80-infanzia-felice.
Auguri amici, auguri lettori. Muori SS.
Un po’ di aggiornamento volanti su cose che ho fatto qua e aggiornamenti che dovevo fare di là. Tre boxini per amarsi a seconda dell’orario e del fuso.
Zavotteria #1: seconda fase
Raggiunti i nove partecipanti, si procede alla seconda fase della prima Zavotteria. Nonostante un largo e italianissimo malcostume della diffidenza, la lista è completa ed entro i prossimi giorni verseranno l’obolo per il “ticket”, si spera. I nomi sono: AudioRadar, Gorman, Kikko, ToSo, Garlic, Andrea, Badtaste, Keiser-Todeschini e ovviamente il sottoscritto.
Putria la Nutria
Vince a mani basse, nonostante un sordido e quasi tenero tentativo di boicottaggio de Il Cinese, Putria. Il riferimento è al sondaggio lanciato tra squilli di fanfare e trombe di tamburi la settimana scorsa, per incoronare al meglio la mascotte dell’ufficio Assaghese e, di riflesso, pure del blog qua presente. In arrivo anche un’immaginina tipo santino, o qualcosa del genere. Putria vince con 53 voti (48% delle preferenze), davanti a Rogna (25 voti, 23%), Scolo (8 voti, 7%) e Grema (7 voti, 6%). Altre proposte assommate costituiscono il 16% delle preferenze.
Nuove pagine: ora col 10% di amore in più
Visto l’andazzo di alcuni nuovi post che mi diverto molto a scrivere la mattina quando il sangue non è ancora arrivato al cervello, ho aperto una nuova pagina che raccoglie i post in cui compaiono delle Top Qualcosa. Top Five, Top Ten, Top Blabla, sempre a tema musicale, ma in grado di arrotolarsi ad altri fatti della vita.
Poi: seguendo l’idea malsana de Il Cinese, ho anche tenuto a battesimo la pagina “Parola al lettore“. Una sorta di lavagna sulla quale proporre argomenti di discussione. Dico: manco fosse un forum!
Arkedo ha dato il dito a due dita
Medie nuove dall’ufficietto con baguette di Arkedo, quelli della serie di giochi mensili per Xbox 360. Potrebbero essere brutte notizie, ma forse anche buone e quindi, giusto per non scontentare proprio nessuno: notizie medie.
La ciarliera Camille, che già spesso e amorevolmente si è intrattenuta via mail con il gestore e il consigliere primo di questo blog, ha regalato agli amichetti-in-calando del GAF del materiale esclusivo. Esclusivissimo, addirittura, perché trattasi di concept art e illustrazioni esegetiche (!) dedicate a 2 Fingers Heroes. Esatto, proprio quel 2 Fingers Heroes di cui finora non sai sapeva un bel nulla e, guarda un po’, probabilmente ha già finito di far parlare di sé, perché di progetto “canned” (“sparato nel petto”) trattasi.
2 Fingers Heroes ha vissuto la bellezza di dodici, eccitantissimi, giorni. Duecentottantotto ore prima che il team spesso decidesse di staccare la spina per motivi non ben identificati, ma che probabilmente si possono riassumere in quanto scritto dalla stessa Camille:
We wanted to see if we could do HD games without having everyone going facepalm and telling the world we should have sticked to simpler games. It may sound silly, but as Aurélien and I started making games in 1999 for mobile phones, and our first games were in 96X65 pixels resolution, in B&W… each year we are wondering if taking the leap of faith towards more pixels is a good idea or not.
Quindi forse no, per ora non è stata considerata una buona idea. La meccanica di gioco attorno cui si sarebbe basato, invece, 2 Fingers Heroes, pare almeno intrigante: pensato per il futuro Natal, il gioco d’oltralpe avrebbe semplicemente chiesto di muovere due dita per gestire comportamenti del tutto simili del proprio eroe su schermo, all’interno di un picchiaduro a scorrimento di vecchissima scuola (da Double Dragon in avanti). Con un po’ di intermezzi per rilassare le falangi.
Ma parlano con molta più chiarezza le immagini che allego anche qua sotto. Addio, per ora?
Votate per il mio amico Babalot
Però tipo ora. Dovete votarlo qua. Ora spieghiamo anche perché e percome e, se servisse, chi cacchio sia questo Babalot.
Allora, il Babalot mi è anche i Babalot, dipende dal momento storico, dall’accezione, da chi ne parla e da chi ascolta. Babalot è anche un’altra faccenda e hai dei rimandi tra il birresco e il Nathan Never, ma ora non c’entra proprio nulla. Babalot è fondamentalmente un tizio, che a un certo punto si è trovato con altri tizi e hanno suonato cose. Talmente hanno suonato cose, che poi hanno inciso cose e così nascono “i Babalot“, con il disco “Che succede quando uno muore” (2003, Aiuola). Poi Babalot de i Babalot cambia vita e si vende a Milano e torna Babalot, anche il gruppo all’atto pratico diventa solo Babalot, pur con tutto il rispetto e l’ammore del mondo. Dopo insistenze di chiunque tranne che di Babalot, Babalot scrive, suona, registra e imbusta “Risorse” (2005, Aiuola, anche noto come “Un segno di vita”). Poi finisce tutto lì, all’incirca.
L’evoluzione della tazza di zucchero
Quattro appartamenti per quattro fasi, ed è sempre finita bene. Quasi sempre perlomeno, qualche minimo incidente c’è stato e ci sarà. Ma generalmente il rapporto col vicinato non è mai stato quel che piace descrivere con toni apocalittici a tanti sceneggiatori di serie televisive. A Vimodrone si era all’ultimo piano e la generosa metratura aiutava a rendere più sopportabili le scelte rock’n rock adolescenziali. A Merate era stata organizzata la ZaveCaverna, un seminterrato con delle casse per la musica, televisore per i videogiochi e computer… quindi impossibile litigare con chicchessia, tranne forse le talpe. In Viale Fulvio Testi c’è stato qualcosa, soprattutto da parte loro verso parte mia, quando dimenticavo per un istante che i Queens of the Stone Age alle due e mezza di notte non sono apprezzati da tutti tutti, giustamente. Loro, per contro, tendevano a litigare ogni domenica mattina (ho sempre supposto si trattasse di una famiglia numerosa di panettieri calabri). Ma si è sempre evitato lo scontro, quindi è andata bene così. Infine, Osnago, oggi. E qui, qualcosa, si è inceppato. Appena un pochino, ma il meccanismo non è più perfettamente oliato.
Ogni volta, ho sempre in mente te: a ogni reboot, reset, format, sudden death, accidente stagionale e coma doloso che piglia un mio computer o un terminale informatico che comunque utilizzo, ci sono dei passaggi obbligatori da seguire. Un iter preciso, o quasi preciso, che è poi l’elenco di programmi da scaricare e installare al volo al primo rilancio post mortem. Ed è da anni che l’iconcina rossa sfumé di Last.FM è lì, sempre lì, lì nel mezzo. Come un mediano? No, come Ancelotti quando seguiva Sacchi in nazionale: si piazzava sulla tribuna, panino alla coppa in mano, e segnava tutto quanto succedeva sul suo bel taccuino unto ma saporito. Last.FM segna tutto, volendo. Almeno in teoria.
Sempre in linea teorica è l’amore della precisione per amor della stessa. E per chi ascolta musica pressoché tutto il giorno e ha delle deviazioni mentali da rastrellamento di dati, è ovvio quanto sia eccitante la questione. Sapere quanto hai sentito chi, cosa hai sentito di più, più spesso, in questa settimana, in quella prima, nel mese prima, l’intero anno. Però ci sono un paio di buchi significativi, che fanno tanto male.