Vi avanza il tempo per scoprire tutto quel che dovreste (o potreste voler) scoprire sugli Oasis? Non ci vorrà molto. Trentacinque secondi, per l’esattezza: quelli che vi trascinano in un lampo dalla chitarra lagnante al secondo 01 di “Rock’n Roll Star” (traccia di apertura del disco di debutto, “Definitely Maybe” – 1994), fino al chiudersi del secondo verso (termine perfetto) di Liam Gallagher. Se Wikipedia si limitasse a fornire le informazioni necessarie, la voce “Oasis (band)” inizierebbe e finirebbe con questi trentacinque secondi, in cui si viene velocemente messi al corrente che: a) vogliono vivere la vita delle rock star (titolo), b) il chitarrista principale suona in questo modo (Noel Gallagher), c) il cantante trascina giovanilmente la voce in quel modo là. Ci sono i temi (“I live my life in the city/there’s no easy way out”), l’atteggiamento, lo stile musicale e le peculiarità tutte di una carriera che, invece, ha partorito quindici anni di successi e mica successi. Ma soprattutto splendide interviste, grandiose promesse, lancinanti crolli di stile e popolarità, nebbiose ricerche di un futuro migliore per via di loghi sbagliatissimi, cacciate di ex amici, litigi perenni, scorci di nuovi orizzonti ed implosione finale (in)attesa.
E se proprio, proprio proprio, la voglia e l’ozio non vi fanno difetto, spingetevi fino alle alture del minuto secondo 47, ad attendervi c’è un “sunshine” che più spiaccicato e tirato e deformato e malandato di così, si muore. Perfetto stile Liam, solo minimamente intaccato (oggi) dal tempo. C’è chi lo odia, chi ne approva lo spiccato tono antipatico sputazzoso (io) e poi c’erano le legioni di ragazzine pronte a dare via il più sacro del sacro per il nostro uomo (e forse ancora, qualcuna, c’è).
Se, guarda un po’, il pomeriggio butta in schifo e noia e quelli di Videonews hanno smesso di allietarvi su Canale 5, fate cosa utile ascoltando per la sei millesima volta l’intero disco. Che tanto, come dice il solito Stephen Thomas (con un certo tocco di prevedibilità): “each song sounds like an instant classic”. Non serve davvero altro per capire l’innamoramento generale di un paese (l’Inghilterra naturalmente) per i loro nuovi giovani eroi, paladini di quel britpop a marchio Blur di cui non hanno ancora deciso se richiedere o meno la tessera. A farlo per conto loro sarà l’onnipresente New Musical Express e tutti quanti possano buttare benzina sul fuoco di origine più che dolosa dello scontro “Oasis Vs. Blur”. Quello che porterà al lancio dei due singoli nella stessa identica giornata di un fine estate (era il 1995). Quello che porterà il sempre cristallino e delicatissimo chitarrista di Manchester a dire: “spero ardentemente che Damon Albarn e Alex James si becchino l’AIDS e muoiano” (Noel Gallagher, uno che sa come stringere amicizie).
Intanto siete già a un tale punto di non ritorno del fancazzismo pomeridiano che di certo cinquanta minuti scarsi per “What’s the Story (Morning Glory)?” li potete anche recuperare. Se non per altro, almeno per “Some Might Say”. Almeno per “Wonderwall”, che ci avrà anche fatto due palle quadre, però è la sintesi perfetta di un anno di MTV. E di una generazione di liceali. “What’s the Story (Morning Glory)?” è tanto importante, nella vita discografica del gruppo, quanto l’album precedente: mette in luce i semi della disgrazia che renderanno “Be Here Now” la più strepitosa e frustrante tra le noie musicali del 1997. In questo secondo episodio c’è già chiara la voglia di puntare alla Luna e, se c’è modo, magari anche a Saturno, ma grazie al cielo qui c’è ancora sufficiente memoria dell’ardore giovanile di un anno prima, il che mitiga un po’ il tutto. Così la tendenza a sovraprodurre del padre padrone viene tenuta a bada da una certa esplosività. Non ha la compattezza estrema di “Definitely Maybe”, ma quando funziona bene (e succede spessissimo), “What’s the Story” è il manifesto unico e finale che poteva esserci qualcosa da Manchester dopo gli Stone Roses.
Qui finisce all’incirca tutto, di nuovo non c’è praticamente più nulla da scoprire e capire: “Be Here Now” ha talmente tanto potenziale sprecato da far venire il mal di testa. Tutto quel girare attorno a aggiungere e sperare di avere tra le mani il nuovo Sergente Pepper. Tutto quel gigioneggiare su se stesso ha reso Noel più grande di quanto non sia (e naturalmente solo nella sua testa). Si può ancora fare, ma intanto attorno i pezzi se ne vanno: è significativo che l’abilità di Noel Gallagher di scrivere melodie pop-rock tanto splendide quanto ruffiane si sia andata affievolendo velocemente dopo la dipartita di Bonehead, l’Arthurs fondatore della band prima dell’acquisizione in corsa proprio di Noel. Le cronache dell’epoca parlarono di Bonehead come della mente segreta, il genio nascosto e la cartina tornasole che permetteva al Gallagher chitarrista di capire dove fermarsi e da dove ripartire. Andatosene lui, gli Oasis continuano a litigare, insultarsi, riempire gli stadi e perdere di vista la realtà dei fatti. Che forse racconta di una coppia (i fratelli) meno efficiente di un tempo. Cambia addirittura il logo, ridisegnato per l’occasione (“Standing on the Shoulders of Giants”) dalla new-entry Gem Archer. Ma sono tempi durissimi: la moda è passata, loro sono un po’ meno cool, la stampa come prevedibile ha già scelto qualcun altro e certi riff sembrano lontani una vita.
La tranquilla e un po’ sciatta mancanza di reale ispirazione è il tratto rosso che unisce il suddetto “Standing” con “Heathen Chemistry”. Entrambi in grado di assicurare nuove auto e piscine ai fratelli-coltelli, premurosi nel rassicurarli sul loro status di beniamini britannici, ma letale nel far solo restringere il “parco utenti” fuori dall’isola. Continueranno a essere amati, ricercati e comprati, ma da lì a diventare più famosi dei Beatles (e quindi di Gesù)… be’, ce ne passa.
L’ultima fase è quella della riscoperta: Noel fa un passo indietro (e in Inghilterra i critici non glielo perdonano), affida la produzione degli ultimi due album a Dave Sardy (New York, e si sente). Trova, nel pacchetto consegnatogli a fine registrazioni e missaggio, due dischi che non tentano (quasi) più di fare il verso a quei ragazzetti che nel 1994 vivevano sulla cresta dell’onda quelli che, lo capiremo poi, sarebbero stati gli ultimi anni buoni dell’industria discografica tradizionale. Un suono meno epocale, non sempre convincente, ma più sincero, genuino e con degli sprazzi più che promettenti. La noia di “Standing” ed “Heaten” è vendicata.
Ma non basta: loro volevano essere delle rockstar. Rockstar immortali (“Live Forever”). Della “professione” hanno abbracciato ogni risvolto e rispettato pedissequamente quasi tutte le regole. Nessuno è morto malamente sfatto di eroina, cosa che alla metà degli anni ’90 andava fortissimo, ma per il resto han fatto tutto. Compreso l’aver mantenuto un atteggiamento splendidamente guascone, irriverente e antipatico verso chiunque e qualsiasi cosa: loro, in particolare lui – Noel, erano più fighi di tutto e tutti. Ogni intervista era una potenziale fucilata in faccia a tizio o caio, a questa o a quella moda o modo di fare. Insopportabili, ma sempre meglio di questa selva di giovanotti con le loro canzoni da due minuti campioni del basso profilo. Perché “Champagne Supernova”, “Columbia”, “Aquiesce” le hanno scritte loro. Non i cazzo di Arctic Monkeys
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0 risposte su “Oasis: fratelli cortelli since 1994”
Bel post, anche se ho la sensazione che ci metto più tempo io a leggerli che tu a scriverli, dannato enfant terrible!
Tutto così vero, così condivisibile. Non come in quel post di Paul McCartney dove lasci presagire che… oh, non farmici nemmeno ripensare.
Aspetto il lato B del post con la storia del lati B.
“Le cronache dell’epoca parlarono di Bonehead come della mente segreta, il genio nascosto e la cartina tornasole che permetteva al Gallagher chitarrista di capire dove fermarsi e da dove ripartire.” (questa però, per chi non ha presente Bonehead, suona un po’ bizzarra, cioè, Bonehead al massimo fermava Noel spaccandoli una pinta di lager in testa…)
Birba: oh, eh, son d’accordo anche io. Ai tempi qualche rivista inglese in vena di spaccare il capello lo scrisse. E con questa convinzione ho affrontato tutti i dischi post Be Here Now, che sono quasi un inno al “porco cacchio, non mi viene più quella roba lì dei primi due/tre album, com’era?!”.
La storia dei lati B andrebbe fatta per un sacco di gente, ma è troppo un casino. Ho fatto quella (super succinta) degli Smashing Pumpkins. Ma poi? I Cure hanno una valanga di ottima roba. Gli Oasis pure, però alla fine prendi Masterplan e 9 su 10 le hai. Troppo complicato, sai che non mi piace sbattermi per fare le cose per bene.
Gli Oasis ce li meritavamo.
Rikko: suppongo che la doppia interpretazione fosse più che prevista.
Per doppia interpretazione intendi l’interprete delle canzoni che a seconda della dose era uno o l’altro? Non ho mai perdonato a niuno di aver scritto champagne supernova o DLBIA letteralmente a caso.
Allora, gli Oasis sono un gruppo che non ho mai approfondito, fondamentalmente a causa del fatto che si pubblicizzavano (o certa stampa nostrana li pubblicizzava) come gli eredi dei Beatles ed essendo io un fanboy dei Beatles quasi piu’ di quanto non lo sia Mattia di Nintendo e del Wii li ho sonoramente ignorati per moltissimo tempo. Errore mio?
Posso solo dire che, avendole sentite “ultimamente”, Shock of the Lightning e Falling Down le metterei pure nel lettore MP3, I’m Outta Time decisamente no, Wonderwall dovete darmi 1000 Euro se volete che la ascolti anche solo un’altra volta.
Partendo da questo presupposto: dischi consigliati? 😀 Nell’ultimo c’e’ altra roba al livello di Falling Down e Shock? Adios.
Desa: la prima metà dell’ultimo è davvero buona, Shock of the Lightining è mediamente più piatta e ripetitiva delle altre. Se devi scaricare qualcosa che valga in assoluto per rappresentarli, non puoi far altro che buttarti sui primi due (Definitely Maybe e What’s the Story – Morning Glory). Suoneranno un po’ vecchi volendo, perché essenzialmente e in un certo senso lo sono.
Eh, morning glory ha il suo perche’. Piu’ della prossima reunion.
Ottimo Zave che non sei uno di quelli che vede solo nero su nero negli Oasis post Be Here Now. Dig Out Your Soul, per dire, è splendido (ho messo la noeliana I Believe In All al posto della The Nature Of Reality di Andy Ball). Però a me non viene da mettere l’infelice Standing insieme allo stilizzato ed eclettico Heathen Chemistry (ho tolto Force Of Nature e Better Men e messo The Heart Of A Star e Thank You For The Good Times). Lo stesso mitizzatissimo Definitely Maybe aveva qualche pezzo debole, non a caso ho messo Fade Away e Listen Up al posto di Bring It On Down e di quella Married With Children che ci starebbe pure, ma cantata da Noel!