Trentasei anni sono sufficienti per sposarsi, mettere al mondo un figlio e sperare che lo spauracchio della Grande Crisi non venga a rovinarti l’orticello. Carlo Von Sexron allontana l’idea tenendosi ampiamente occupato: per lui lo spettro della disoccupazione rimane sempre tale. Lavora tanto, il nostro Baby Duck (ogni tanto, sua moglie e qualche amico, preferiscono chiamarlo così), che viene da chiedersi dove trovi il tempo per passeggiare ai bordi dell’amato deserto californiano, prima ancora che dedicarsi alla piccola Camille Harley, tre anni e mezzo.
Evidentemente in possesso di un qualche aggeggio fantamisticologico che gli offre 48 ore per ogni 24 di un essere umano standard, Josh Homme (così scelgono di riferirsi a Carlo/Duck all’anagrafe) ha la stessa iperproduttività di cui questo blog ha recentemente accusato qualcun’altro. In questo caso, però, i frutti sono più facilmente addentabili. O scaricabili e ascoltabili. Oggi come oggi musicista, produttore, autore, il californiano (nasce a Joshua Tree – lontano dagli U2) Josh è morso dalla tarantola della musica a tutti i costi e a tutti gli orari.
Se non sta insultando quel vaccone-zecca di Sharon Osbourne, allora sta producendo l’ultimo degli Arctic Monkeys. Se non sta apostrofando un fan in prima fila, probabilmente pensa al prossimo disco dei Queens of the Stone Age. Momentaneamente libero dal tour degli Eagles of Death Metal, riflette sulla fine dell’amicizia produttiva con Nick Olivieri. Mentre si intrattiene amabilmente con i Them Crooked Vultures, già immagine come mettere a frutto le sue doti di polistrumentista (chitarra, basso, batteria – oltre alla voce). Quando non pulisce la sua collezione di motociclette (da perfetto rider a stelle e strisce), spedisce gli inviti per la prossima “Desert Session“.
Josh Homme è uno di quelli che evidentemente si diverte a suonare e a scrivere musica. Uno di quelli che non sempre sembrano spinti da un fine ultime, titillati da un messaggio universale, da un’urgenza di esprimere attraverso la musica ciò che non sia solo musica. Insomma, Josh si diverte a suonare. Si diverte a concepire musica. Si diverte a collaborare e a vivere nel jet set che si è costruito attorno al suo falò nel deserto. Come altri (un esempio su tutti: i moderni Pearl Jam) ha ormai sviluppato una vita all’interno della musica e di quel che rimane dell’industria discografica, trovandosi ogni cinque minuti il suo spazio preferito. E semplicemente godendosela. Non si spiega altrimenti l’inutilità totale dei deliziosi dischi proprio degli Eagles of Death Metal. Solo perché quelli dei Queens of the Stone Age, di utilità e di “urgenza”, ancora ne offrono un po’. O forse non ne hanno mai offerta, ma in modo differente.
Tutto mentre a casa ti aspetta tua moglie, che forse, però, non ti sta aspettando. Forse anche lei è in tour, con gli Spinnerette: solo perché i Distillers si sono sciolti tempo fa. E quindi la domanda è: a quando la prima incisione di Camille Harley Dalle Homme? Ieri?
Una risposta su “Joshua Tree e suo figlio”
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