L’anno scorso Capcom ha percorso il Sunset Boulevard a tavoletta come nemmeno O.J. Simpson, portando all’estremo il concetto di “retrogaming”: Mega Man 9 era (ed è) un gioco nuovo solo nei contenuti e non certo nella forma, invece ancorata coraggiosamente a tre, quattro epoche ormai date per chiuse e archiviate. Insomma, un gioco che veniva sviluppato (tecnicamente e non solo) appositamente ponendosi dei limiti al limite (ops) del masochismo. L’idea era di spostare indietro le lancette di una ventina d’anni, tornando a realizzare un gioco con le stesse risorse che si avrebbe avuto a disposizione nella seconda metà degli anni ’80, su di un hardware del paleolitico: quello del NES. Il risultato non era solo quello che raccontava di un gioco concepito in totale 2D con una spruzzata ampia di malinconia, ma anche un gioco rigido. Rigido perché ai tempi i limiti erano quelli e così si poteva fare, ma che nell’anno domini 2008 è diventata solo e soltanto una scelta. Una scelta interessante, il cui esito è però stato quello più che prevedibile: Mega Man 9 non è un gioco antico, ma un gioco vecchio.
Vecchio perché gli sprite flickerano, ok. Ma vecchio anche perché il sistema di gestione dei salti e delle collisioni è antiquato. Antiquato come è sempre rimasto Mega Man nelle sue uscite bidimensionali ovviamente. Ma se prima di allora si poteva imputare a Capcom un eccessivo formalismo verso la rottura di palle che era ed è sempre stata Mega Man, con il nono capitolo l’etichetta giapponese ha trovato quella sorta di comma 22 per cui tutto era giustificato. “Non è vecchio, non è sbagliato, è che andava fatto così se si vogliono seguire le ‘regole’ di quegli anni”, potrebbero dire.
Non ho mai apprezzato Mega Man. Non l’ho fatto ai tempi del NES e del Super Nintendo, figurarsi se potrei farlo oggi. I giochi di piattaforme legnosi e granitici non mi sono mai piaciuti, li ho sempre trovati dei giochi fatti male per incompetenza e non per scelta. Certo, questa volta l’incompetenza simulata era una scelta, ma vabbé, ci siamo capiti. Sulle pagine di Xbox Magazine Ufficiale ho dovuto realizzare anche una recensione di Mega Man 9, che citava qua e là la voglia di farsi male come quando ci si taglia tra le dita con i fogli di carta come unico stimolo a comprare il gioco. Se a qualcuno fosse piaciuta l’idea di essere preso a calci da un gioco fatto di marmo, buon per lui, Mega Man 9 sarebbe stata un’ottima scelta in tal senso.
Dove inizia e dove finisce l’utilità di auto citarsi nel mondo dei videogiochi? No, non di auto citarsi nel senso di ricordarsi di se stessi concettualmente, ma di cingersi con un bel cilicio per dimostrare qualcosa. Così si certifica quello che in molti sostengono solo affidandosi al filtrone colorato della malinconia: ovvero che un tempo si stava meglio. Eppure Golden Axe è una merda rigiocato oggi, tanto per dirne uno. Ma proprio una roba ignobile eh. Non si stava meglio. Però se lo dice Capcom, allora forse si sta meglio. Tant’è che in questi giorni Nintendo Power ha confermato l’arrivo di La-Mulana su WiiWare. La-Mulana, che scopro in questo istante, è uno di quei giochi indie(pendenti), che tanto piacciono a chi ne sa. Pubblicato originariamente nel 2005 per Windows et similia, replica la veste grafica permessa da un MSX quando ancora il mondo era piatto. Il game design gira attorno al concetto di balzelli ed esplorazione come potrebbe succedere in un Metroid. Ed evidentemente condivide con Mega Man 9 molte delle sue peculiarità. Su WiiWare verrà graziato da uno stile visivo più vicino a quello tipico dell’era 16-bit. Tutti contenti no?
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