Disclaimer: lunga tirata della tristezza dei tempi che se ne vanno e “io avevi questi giochi qua!”.
Che botta tremenda! Il Megadrive ha vent’anni negli Stati Uniti (per festeggiare la doppia decade dal lancio in Europa bisognerà aspettare un anno) e su internet se ne parla. Si scrivono dossier, si cavalca possenti l’onda malinconica, ci si arrabatta attorno a wikipedia e GameFaqs per ostentare una certa conoscenza della materia. Tutto inutile, dato che poi quel che conta è sempre lei, la sfida nella sfida, l’insulto sistematico, il confronto puberale, la violentissima “console war” pre-Web. Prima ancora di passare all’anagrafe per farsi assegnare un titolo dalla Grande Rete, la strutturata serie di insulti al prossimo e alle sue scelte nel campo degli hobby (che, naturalmente, a quell’età non sono tali) si muoveva viscida e ambiziosa tra i banchi di scuola. O al campetto da calcio in fondo alla via. Ma se avete fatto parte di quella storia, se per sbaglio, anche solo per cinque tragici minuti, vi siete abbandonati alla lettura di una rubrica della posta pescata a caso dalle due (due) riviste di videogiochi ai tempi esistenti in Italia… allora sapete che non ce n’era. Certo, okkei, Mario e Sonic, “a me piace quello”, “ma vuoi mettere con questo”, “si ma tua sorella l’ho vista col tamarro col Fifty l’altra sera”, “solo perché andava a dare il resto a tua madre”… e giù calci nei denti. Vabbene tutto, ma il piantone, l’albero maestro che teneva dritto il fallatissimo galeone dell’insulto da videogiochi, ai tempi di Megadrive e Super Nintendo, era uno. Solo uno: “il Super Nintendo ha più colori e poi c’ha il Mode 7 e il chip audio è troppo avanti” – “Bella, allora giocati uno sparatutto a caso, tanto rallentano tutti, che tenete il processore di una calcolatrice”.