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Videogiochi

Le parole dei videogiochi

La mia attività ricreativa post-lavoro, cioè scrivere di videogiochi, si è spostata su Substack. Questo blog rimane attivo, perché è un’altra cosa e perché una volta ogni dodici mesi mi piace tornarci sopra. Substack è un posto che permette di creare una newsletter e di avere un pubblico che si iscrive per ricevere quella newsletter. Nel mio caso la newsletter si chiama: “Le parole dei videogiochi” e l’argomento è il cosa si scrive di videogiochi e come lo si fa.

Una volta a settimana, con qualche eccezione, invio una mail con la nuova puntata e… no, niente, è finita qui. Non c’è molto altro da spiegare. Ho inviato la prima newsletter a febbraio del 2023 e per ora mi sto divertendo, quindi mantengo il ritmo settimanale, con qualche eccezione, e ho già in programma un sacco di altre “puntate”.

Se volete leggere le newsletter già inviate o iscrivervi per ricevere le prossime, il link è questo.

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Lavoro Videogiochi

I’m only happy when it sbrills

C’è una data di avvio ufficiale dei lavori sull’adattamento di Mario + Rabbids: Sparks of Hope, ed è quella del 26 marzo 2021. L’abile squadriglia di Seamonkeys ha quindi avuto a che fare con il secondo crossover idrauliconiglioso per oltre un anno e mezzo. E ancora ce n’è da fare. Un errore di estrema ingenuità che ho fatto pure io, ai tempi di Mario + Rabbids Kingdom Battle, è che potesse nascere già in italiano, considerando che una parte consistente dello sviluppo avveniva proprio dalle nostre parti. Invece è una sciocchezza per un sacco di ottimi motivi… per fortuna. Il fatto che anche Sparks of Hope venga scritto, in ogni sua parte, prima in inglese e poi tradotto in una certa (smodata) quantità di lingue, ci/mi ha concesso di infilare il nome in mezzo a quello dei programmatori, dei game designer, dei musicisti, degli artisti di Ubisoft Milan, Ubisoft Paris e altri studi ancora.

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Musica Playlist Videogiochi

Ridge Racer 6 + The Eraser

Ridge Racer ha smesso da tempo di essere un playboy, ha appeso le sue due mosse al chiodo e si macera nel ricordo di quel che è stato. Quel che è stato è molto: un’esistenza passata ad accompagnarsi a prede belle ma soprattutto giovani e inesperte. Una carriera a infilarsi al ballo delle debuttanti, con il suo costume da perfetto zarro anni Novanta, solo in qualche occasione stemperato e impreziosito da una serie di accorgimenti e di prese di posizione più eleganti.

Dal dicembre del 1994 a quello del 2006, Ridge Racer è stato al fianco di PlayStation, PlayStation 2, Nintendo DS, PSP, Xbox 360 e PlayStation 3, quando era il momento di stringere il corsetto e di gettarsi in pasto agli sguardi famelici dei curiosi. Solo una volta ha avuto i gradi per presentarsi in veste di accompagnatore ufficiale, quando l’accoppiata perfetta con la prima console di Sony li vedeva entrambi giovani, potenti e decisi a sgranocchiare la concorrenza. Poi ha avuto la lucidità di rimanere lì attorno, appoggiato a una colonna, pronto per un ballo e qualche colpo d’anca oltre il consentito.

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Videogiochi

Il Natale del 1993

Caro, vecchio, Brian Adams! La raccolta dei grandi successi del tizio, arrivata sotto l’albero nel 1993, è stata utile almeno due volte: per soddisfare quella voglia di risentire il pezzo della pubblicità del Chivas Regal (“Heaven”) e per insegnarmi il significato e l’utilizzo della formula scelta per il titolo, “So Far So Good”.

Fino al 1993, era andato tutto molto bene con i videogiochi del Natale. Quell’anno, la situazione non sarebbe cambiata. C’era però da registrare un generale cambio di ritmo, impresso in origine dalla caduta delle barriere regionali già protagonista del Natale del 1992. Il 25 dicembre del 1993 era stato preceduto da un’ampia parentesi, a settembre. L’uscita di Street Fighter II Special Champion Edition, il gioco più atteso della storia dei giochi attesi (da queste parti), aveva in parte intaccato lo strapotere della festa comandata.

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Videogiochi

Il Natale del 1992

Stesso posto, stessa gente, stessa console, ma nel 1992 era già cambiato tutto. Un anno dopo il debutto del Mega Drive al nostro civico, accompagnato da un paio di classici e un infiltrato, si torna sulle Dolomiti. Lo stesso posto è la stessa casetta in paese, a pochi passi da una sala giochi (ma negli anni ’90 quasi ovunque si era a pochi passi da una sala giochi) e con le solite giornate post-natalizie da colmare. Un po’ con lo sci, un po’ con il cibo, raramente con obblighi scolastici, spesso con i videogiochi capitati sotto l’albero il 25 (o il 24 sera/notte, come era più l’abitudine a quell’epoca, in casa nostra).

Le differenze, però, ci sono tutte. A novembre era stato il giorno di Sonic the Hedgehog 2, lanciato in contemporanea in tutto il mondo. Non ricordo bene perché, ma noi si era fatto il possibile e l’impossibile per poter giocare la versione giapponese. Una volta modificato il Mega Drive e acquistato il cavo SCART, ci si era aperto tutto un altro mondo. O, almeno, una serie di stanze extra collegate al salotto di sempre: stesso posto, ma ben più ampio e variegato.

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Videogiochi

Il Natale del 1991

Di questi tempi, trent’anni fa, avevo trent’anni in meno e tre giochi in più. Come le vacanze di Natale del 1991, non ne hanno fatte più. Ci sono state altre annate di qualità eccellente e sono abbastanza sicuro che ce ne saranno altre pregiatissime, ma in maniera differente. Ecco, se la metrica fosse un’opinione, ci starebbe bene iniziare riadattando il ritornello de “Le vacanze dell’83” dei Baustelle, a quell’inizio di anni ’90. Però non ci entra nemmeno a smartellare forte, quindi missione abortita.

Il Natale del 1991 è quello del Mega Drive, frutto di dodici mesi di richieste disperate e accompagnato da un countdown simile a una tortura auto-inflitta. Mi ero segnato i giorni mancanti alla Celebre Discesa di Gesù sul diario di scuola (l’agenda rossa di Cuore, forse non del tutto tagliata su misura per uno di prima media) e ogni ventiquattro ore passavano ben più lentamente di questi trent’anni di distanza. Però è successo. Per una questione di ineluttabilità, a scanso di chiamate finali dell’Altissimo, è successo.

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Playlist

Demon’s Souls + Cyr

Quando è morto Maradona, stavo trafficando tra i tunnel di Stonefang. Infilzavo i corpi depressi dei minatori, nei minuti in cui tra Twitter e i canali all news iniziava a circolare la notizia, di quelle notizie che poi ti ricordi dov’eri quando ti è arrivata. Tutto quel periodo, tra dicembre 2020 e gennaio 2021, è stato vissuto in costante devozione di Demon’s Souls, con qualche rara concessione ad altri giochi che sapessero cavare fuori qualcosa di utile da Xbox Series X e PlayStation 5. Perché, insomma, era il loro momento.

Demon’s Souls, nel senso del remaster di ultimissima generazione, è stato il mio biglietto d’ingresso nel mondo dei souls (nemmeno “like”, proprio loro, esattamente i “souls”). C’erano stati degli abboccamenti fin da Dark Souls II, ancora con Dark Souls III e Bloodborne, ma era sempre tutto finito nel giro di pochi giorni, qualche sessione, tante bastonate sui denti. Non erano le bastonate, il problema: non ho mai trovato le avventure di From Software irritanti, nella loro rigidezza. Con Demon’s Souls mi sarei fatto un’idea più precisa della cosa, ma in linea generale la frustrazione è un sentimento che non mi ha mai accompagnato in quei viaggi, per quanto brevi.

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Videogiochi

Arcade perfect: il mio coin-op

Il “bar dei comunisti” era un posto vecchio e sgraziato, sull’angolo dell’arteria principale di un paesino di provincia, quello in cui sono cresciuto. Erano gli altri a chiamarlo “dei comunisti” e nemmeno “bar”, a ripensarci: “Dove si va? Dai comunisti?”. A Vimodrone, in quegli anni, c’era la Democrazia Cristiana e credo ci fosse un po’ ovunque. Quello dei comunisti era un circolo, un grosso salone con tanti tavoli, un lungo bancale, età media degli avventori oltre i cinquant’anni: insomma, ripensandoci immagino che fosse un classico dopolavoro, un esercizio basato su una location tutt’altro che esclusiva e con una sola mission, servire bicchieri di vino bianco e poco altro.

Nella grande sala, ad accompagnare su due lati i tavolini, il bancone e il fumo delle sigarette, c’erano anche due file di videogiochi, almeno negli anni ottanta e in parte dei novanta. Saranno stati circa otto cabinati ed è qui che ho stretto il rapporto più intimo con uno di quei cassoni. Era l’ultimo sulla fila di sinistra, entrando e fissando il bancone. Era quello di Super Bubble Bobble, l’edizione distribuita da Sega e con cinquanta livelli in più (aggiuntina post-rilettura e controllo: non sono più sicuro di nulla rispetto a quanto detto della versione e di Sega e dei livelli). Sto andando a memoria e dopo circa trent’anni non è che abbia tutte queste sicurezze, quindi potrei aver confuso le versioni del gioco di Bub e Bob. Comunque sia: Bubble Bobble permetteva di inserire un paio di sequenze con joystick e pulsanti, così da attivare dei bonus fin dall’inizio della partita. Per riuscirci, era necessario spegnere e riaccendere l’intero mobile e il gioco. Non ricordo che i gestori se ne siano mai avuti a male e nemmeno che noi si stesse più di tanto attenti nel farlo, per evitare di essere beccati. Considerate le dimensioni medie del gruppo di gioco (tra i dieci e i quattordici anni, suppergiù), per raggiungere l’interruttore in alto e sulla schiena del cabinato, toccava abbracciarselo tutto. Ed ecco qui il rapporto intimo.

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Musica Playlist Videogiochi

Virtua Racing + Get a Grip

Non ascoltavo Get a Grip da chissà quanto e mi accorgo solo ora di quanto fossero paraculi gli Aerosmith. Aprono con un mezzo rap di Tyler, ripescano addirittura il riff della loro Walk This Way, che con il pianeta hip hop aveva collassato con successo, ai tempi della rilancio firmato Run DMC (1986). Solo un’introduzione a Eat the Rich, pezzo molto più classicamente Aerosmith, pur se arrotondato da una produzione più confortante e nineties, per una band che nasceva sul solco dei Led Zeppelin negli anni ’70.

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